Ma questo non è razzismo?

Non c’è bisogno di ripeterlo: pare che per essere definiti razzisti non occorra essere sostenitori della superiorità o della inferiorità di una “razza” rispetto alle altre o ad un’altra. Pare che il solo fatto di sostenere che esista una “razza”, delle razze tra loro differenti, comporti di essere definiti “razzisti”. Non s’ha da dire “razza ebraica” e neppure “razza bianca” etc. etc. Qualche permesso particolare è consentito quanto a razze che “comportano” un colore della pelle diverso. Però non s’ha da dire mai “negro”, ma “nero” o, meglio (in America) “afro americano”.

Però ci sono poi delle eccezioni. Per esempio, pare che esista una razza, intesa come appartenenza ad una determinata discendenza, non altrimenti avvertibile che con testimonianze e documenti, perché i tratti somatici poco o nulla ci dicono. Sono le differenze relative alle qualità morali degli ascendenti.

Si è razzisti a parlare di razza (e razze) semitica. Ma si può, anzi si deve credere in differenze razziali basate sulle qualità morali degli ascendenti. Pare, anzi, che a contestare, rifiutarsi di riconoscere, con le conseguenze del caso, che ci sono “razze di mafiosi” qualità e caratteristiche genetiche riconducibili ad ascendenze mafiose sia una grave colpa.

Se bisogna dare atto che il mafioso è appartenente ad una sorta di sub specie umana (o disumana) occorre anche non sottrarsi al dovere di considerare che tale brutta qualità si trasmette per discendenza, ma anche per “coniugio” (matrimonio).  Mafia, mafioso, sono qualifiche di una criminalità che passa attraverso il Dna. Chi sostiene che un figlio di un mafioso è, poniamo, un bravo ragazzo, commette, invece, un reato di apologia del delitto. Per quante generazioni ciò valga non so. Debbo informarmi.

Ben due Papi hanno intimato ai mafiosi di “convertirsi”. E, del resto nella Costituzione della Repubblica c’è scritto che le pene (galera, con o senza il 41 bis) debbano tendere alla rieducazione del reo. Ma probabilmente non si erano bene informati presso Don Ciotti. Ciò vale, ovviamente, per discendenti, collaterali, etc. Il parente di un mafioso è un presunto mafioso. Benché convertito, ma di “razza” mafiosa. È costato caro ad candidato Sindaco del Movimento 5 Stelle di Corleone, che era stato visto in un bar insieme con un discendente non so se di Provenzano o Messina Denaro. Il suo leader politico, Luigi Di Maio gli ha voltato le spalle. I voti del (eventualmente) convertito appartenente alla razza caucasica-mafiosa “fanno schifo” a Di Maio. Non ci sono conversioni e Papi che tengano: la razza è razza, starei per dire (cioè per far dire a Di Maio).

Credo che ogni razzismo cominci così: con una speciale qualificazione morale. Una morale famigliare indelebile. Ma, poi accade quel che è accaduto a Luigi Di Maio. I voti dei discendenti dei mafiosi gli fanno schifo (così dice) ma solo dei mafiosi mafiosi. Se si parla invece di mafiosetti, di imprenditori che, come quelli che a Corleone sono considerati “mafiosi” con o senza il suggello di una parentela con qualche più o meno noto mafioso, può accadere che la trasmissibilità delle caratteristiche morali in linea diretta non funzioni e che, figlio di padre che abbia fatto lavorare e lavorato in nero, possa essere un ottimo, incensurabile leader politico di un movimento per la moralizzazione del Paese, che vuole cacciare dal Parlamento chi sta sul cavolo di qualche procuratore etc. etc.. Ma che razza di antirazzisti!

Aggiornato il 28 novembre 2018 alle ore 10:03