5 – 7 -10 – 12 -14: è la cinquina della cabala politica che i sondaggisti invitano a giocare sulla ruota del Presidente del Senato, il nuovo leader della sinistra (unita?) nato in laboratorio dall’inseminazione artificiale di gruppo, chiamiamola pure ammucchiata, D’Alema -Bersani – Speranza – Civati – Fratoianni.

I primi due numeri della cinquina sono le percentuali elettorali, minima e massima, che i sondaggisti attribuiscono alla sommatoria di Mdp, Sinistra Italiana e Possibile senza Grasso. Gli altri tre – 10, 12 e 14 – le percentuali minima, media e massima accreditate al valore aggiunto di Grasso quale leader dei tre partitini riuniti sotto il simbolo del nuovo soggetto politico “Liberi e Uguali”.

In verità, analisti più rigorosi, nella previsione più ottimistica, non vedono colare – è il caso di dire -”tanto Grasso”, e danno alla lista dell’ex magistrato un massimo dell’ 8 per cento. Che non è poco. Ma è un “non poco” largamente insufficiente per accendere la miccia della Rivoluzione a sinistra del Pd e, insieme, più che abbondante per impedire al Pd di dettare l’agenda politica e riproporsi come perno del centrosinistra governativo nella prossima legislatura.

Insomma, per dirla tutta e in soldoni, a urne di primavera aperte D’Alema, Bersani e Compagni si saranno tolti lo sfizio di distruggere Renzi e minare alle fondamenta il Pd, ma avranno anche allontanato la prospettiva di una sinistra di governo: vittoria di Pirro, peraltro a spese della governabilità, e comunque fotocopia dell’originale e originaria vocazione masochistica della sinistra italiana.

Si potrebbe aggiungere che non trasmettono una sensazione di grande freschezza politica i selfie tripartisan di queste settimane con le facce di D’Alema, Bersani, Grasso, Vendola, Bassolino. Napolitano, Casini, De Mita, Pomicino, Berlusconi, Gargani, Mastella ed altri “immortaloidi”: ma questa è un’altra storia, figlia del resuscitato proporzionale e del tanto osannato “No” al Referendum di un anno fa.

In ogni modo, cosa fatta, capo ha. Un capo che avrà una coda, naturalmente, anche in Irpinia, soprattutto ma non solo nella contabilità dei seggi che saranno assegnati con le prossime elezioni.

Il Pd è il partito che sembra destinato a dover pagare il conto più salato. Se è vero, infatti, che in provincia di Avellino la cifra elettorale di Mpd, Sinistra Italiana e Possibile sembra tendere più al range minimo che a quello medio della suddetta “cinquina”, è altrettanto vero che nei due collegi Camera e nell’unico Collegio Senato la presenza di “Liberi e Uguali” può sottrarre al Pd la percentuale di consensi sufficiente a far vincere i Cinque Stelle o il centrodestra.

E’ altamente probabile che ciò accada. Le simulazioni ricavate dalla media degli ultimi sondaggi calcolano intorno al 35 per cento la soglia del “voto in più” che fa conquistare il seggio a questo o a quel partito: un livello che è alla portata sia dei grillini che del centrodestra, seppure qui sia sostanzialmente inconsistente l’apporto della Lega Nord.

Per di più, a sfavore del Pd gioca anche Alternativa Popolare o comunque si chiamerà il partito dei centristi che dovrebbe avere come perno l’attuale formazione di Angelino Alfano. E gioca a sfavore sia nel caso Pd e AP si presentino in coalizione, sia che i centristi decidano di correre da soli, come sembra più probabile alla luce del compromesso cui le due anime del partito stanno lavorando per evitare la scissione.

Il primo caso. Coalizione qui significherebbe un candidato al Pd ed uno ai centristi nei Collegi Camera e candidato Pd al Collegio Senato. L’ala irpina dei centristi è essenzialmente il partito dei De Mita. Il candidato centrista in uno dei due Collegi Camera, verosimilmente in quello di Ariano Irpino, sarebbe giocoforza De Mita.

Ora, se il calcolo vien fatto soltanto con l’addizione, ovvero con i voti che i De Mita portano alla coalizione, il Pd non avrebbe problemi a conquistare un seggio, verosimilmente nel Collegio di Avellino. Ma se alla coalizione si sottraggono i voti dei democratici, e sono un numero decisamente molto alto, che rifiutano l’alleanza con i demitiani, le cose potrebbero radicalmente cambiare: il “voto in più” lo avrebbero i Cinque Stelle o il centrodestra perché, oltre all’erosione di consensi determinata da “Liberi e Uguali” ci sarebbe quanto meno il disimpegno dei Pd antidemitiani.
Il secondo caso. I centristi corrono da soli. Il candidato sarà comunque De Mita Junior. Che grazie allo Zio otterrà non pochi voti, non tanti quanti ne servono per essere eletto, ma a sufficienza perché non vinca il Pd. La differenza con il primo caso è che nella seconda eventualità il Pd perderebbe il seggio ma salvando almeno la faccia.

Nessuna possibilità, allora, che il Partito Democratico possa conquistare i collegi irpini? In teoria, per come si son messe le cose, come si diceva, è altamente improbabile. A meno che non giochi la carta di candidati decisamente forti in grado di attingere nell’ampia area dell’elettorato indeciso o potenzialmente astensionista. Allo stato dei fatti, a giudicare dalle evidenti claudicanze del pensiero politico del commissario Ermini, espressione del peggior renzismo per ciò che ha sin qui offerto, l’orientamento del Nazareno sembra di voler privilegiare la fedeltà al capo e non la potenziale forza di trascinamento dei candidati.

Insomma, al netto dei tradimenti degli scissionisti prima e del Presidente del Senato da ultimo, si ha la sensazione che il Pd di Matteo Renzi, a Roma come in periferia, le rogne se le vada cercando. Per stare ai fatti della politica nazionale, ad esempio, è una rogna gratuita non comprendere che quanto prima s’induce Maria Elena Boschi a fare, non un passo di lato, ma un doppio salto mortale all’indietro tanto meno Banca Etruria il Pd si trascina nelle urne. Oppure, per stare ai fatti irpini, è una rogna altrettanto gratuita non capire che allearsi con De Mita significa legittimare un modello politico che è l’esatto opposto di quello predicato da Matteo Renzi. Con l’aggravante che Renzi e il Pd sono stati e continuano ad essere sbeffeggiati alla stregua di garzoni da un discutibilissimo maestro di etica della politica.