Se volete farvi un’idea di quanto sia caduta in basso la classe dirigente politica irpina, e quella avellinese in modo particolare, ovvero di come sia indispensabile accelerare il processo di cambiamento avviato anche in questa provincia il 4 marzo, e consolidatosi per ora nel capoluogo il 24 giugno, dovete leggere rigo per rigo, e pesare parola per parola, la lettera del vescovo Arturo Aiello pubblicata nell’edizione di ieri de “Il Mattino”.

Mi perdonerà Monsignore, e chiedo venia anche ai lettori per qualche eccesso di laicismo della mia educazione politica, ma dico subito in premessa che non apprezzo affatto l’ingerenza del vescovo nel gioco democratico della rappresentanza istituzionale del capoluogo. Perché altro è la denuncia dei problemi che affliggono una comunità, e la Chiesa può e deve farsene interprete, altro è l’invocazione religiosa – non si capisce in nome di quale investitura – perché venga annullata la dialettica tra maggioranza e opposizione scelte dagli elettori.

Perché è questo, in buona sostanza, che chiede il vescovo nella sua lettera: un azzeramento dei punti di vista politici difronte alla Grande Emergenza che vive Avellino e difronte alla realtà di un sindaco che non ha una maggioranza consiliare precostituita; una sorta di magia fideistica per cui i diversi partiti e gruppi che si sono affrontati alle elezioni rinuncino a tutto ciò che hanno detto e a tutto ciò per cui, a torto o a ragione, si sono battuti ed hanno raccolto il consenso. Ma questo è un rito che si può osservare in chiesa per la remissione dei peccati, per aprirci a Gesù: ci scambiamo un segno di pace, magari non semplicemente dandoci la mano ma abbracciandoci e baciandoci, e chi s’è visto s’è visto.

Non è così in politica, e Monsignore dovrebbe saperlo. La politica è altro. La democrazia è altro. Le democrazie senza una maggioranza e senza una opposizione si chiamano diversamente, sono “dittature”, poco importa se di destra o di sinistra, se fascismo – nazismo o comunismo. D’altronde – anche questo il vescovo sa benissimo – le stesse persone che durante la celebrazione della Santa Messa si scambiano “un segno di pace”, appena fuori dalla chiesa sono pronte a scannarsi: figurarsi i consiglieri comunali eletti in schieramenti contrapposti e, per di più, carichi di interessi di gruppo e molto probabilmente anche personali.

Attenzione, però, Signore e Signori: questo non è un processo al vescovo di Avellino. Ci mancherebbe. E’ piuttosto un ragionato tentativo di mettere i puntini sulle “i” dei ruoli e delle competenze, per contenere il rischio che ai casini già abbondanti prodotti dal potere politico si aggiungano anche quelli, di certo involontari, indotti dal potere spirituale.

Perché, vorremmo ricordare a Monsignor Aiello, il sindaco 5 Stelle Vincenzo Ciampi può salvarsi l’anima difronte agli elettori mostrandosi “uomo di buona volontà” (profilo genuinamente suo); ma di certo non salva la “carica” (alla “poltrona” lui non tiene, potete giurarci) se non s’inventa altro rispetto alle effusioni di “segni di pace” consigliate e invocate dal vescovo. Non si potrà dire, infatti, che i consiglieri comunali eletti nel raggruppamento di centrosinistra siano “cattivi”, e dunque, meritino l’Inferno se Ciampi non sarà in grado di fare proposte che – mafia a parte – non si possono rifiutare per il bene oggettivo della comunità avellinese. Né può essere assunto a dogma la presunta – da loro stessi - infallibilità amministrativa dei 5 Stelle.

Insomma, proprio perché il sindaco non ha una maggioranza precostituita – non per colpa sua ma di questa legge elettorale – il suo sforzo dovrà essere davvero straordinario per evitare che il Consiglio si sciolga al primo scoglio di bilancio: non quello consuntivo in scadenza, chiariamo, perché ne sono moralmente responsabili i consiglieri comunali rieletti che ne approvarono il “preventivo”.

Sforzo straordinario significa concreta capacità di dialogo e di persuasione, ma anche di ascolto, di mediazione, di passi di lato, da parte del sindaco e del Movimento che lo sostiene. Poi si capirà in quale campo, eventualmente, ci sono ottusaggine o malafede o le due cose insieme: in quello del sindaco e dei 5 Stelle oppure in quello dei consiglieri, dei gruppi civici e dei partiti di sinistra, di centro e di destra. Il Sindaco andrà a casa e il Consiglio si scioglierà: provvederanno gli elettori, al prossimo turno, a stabilire chi merita il paradiso, chi il purgatorio e chi l’inferno.

Se un processo si dovesse fare, dunque, non sarebbe al vescovo, tutt’al più innocuo peccatore di protagonismo, ma alla classe dirigente politica - indifferentemente di sinistra, di centro e di destra – che ha governato così male questa provincia, nell’ultimo ventennio in particolare, da autorizzare il “potere spirituale” a salire in cattedra per ricordare cosa accadde nel 1268: allorquando, per reazione contro “i cardinali che tardavano ad eleggere il Pontefice, dopo più di mille giorni di attesa, il popolo decise di murare le porte del Palazzo di Viterbo, dove si svolgevano le consultazioni, per fare pressione sui grandi elettori”.

E’ talmente in ritardo nell’assunzione delle proprie responsabilità, questa classe dirigente politica, da spingere il “potere spirituale”, incarnato dalle nostre partiti dal vescovo Aiello, da autorizzare Monsignore a dire: “Facciamo idealmente anche noi” ciò che fece il popolo a Viterbo 750 anni fa. Anche se subito dopo il vescovo, quasi pentito per aver forse esagerato un po’, non manca di scrivere: “...ma la nostra non è una minaccia, ma un abbraccio perché voi e noi ritroviamo il gusto di essere comunità civile che ha come fine la salvaguardia del bene comune”.

E qui, caro Monsignore, con tutto il rispetto, devo dissentire oltre che nella forma (l’ingerenza) anche nella sostanza. Perché quella summenzionata, vescovo egregio, non è una classe dirigente politica che può essere ancora trattata con un abbraccio, magari sperando nella possibilità della sua redenzione. E’, invece, una classe dirigente che non ha saputo nemmeno vincere le elezioni nel capoluogo pur disponendo e maneggiando tutto il potere “materiale” e clientelare possibile, da Palazzo Santa Lucia a via Tagliamento passando per Nusco, Montefalcione, Benevento e tutti gli altri grandi e piccoli santuari dove non si fabbricano idee ma favori e si dispensano prebende a sbafo ai galoppini vecchi e giovani, azzoppati dall’età o in ottima salute.

Una classe dirigente del genere, caro vescovo, non può essere più trattata con abbracci, baci, carezze sulle guance, sorrisi e fiori, una prece, requiem e ci aggiunga Lei tutte le cortesie volute e nella disponibilità di Santa Romana Chiesa. Va piuttosto cacciata a calci in culo, come l’elettorato irpino ha già cominciato a fare il 4 marzo e il 24 giugno.

Anche in questo senso il sindaco Ciampi dovrà fare uno sforzo straordinario: si può dialogare con chi ha contestato e contesta, civilmente o meno, questa classe dirigente, non con chiunque. Se dà consigli diversi, Monsignore, si rende anche Lei complice di un “perdono” terreno che questi Signori non meritano. E allora, muriamo pure idealmente e materialmente le porte del Palazzo: ma per non farli più entrare, non per non farli uscire. Subito e per sempre!