Signore e Signori, vi risparmio volentieri il riassunto delle precedenti puntate. Chi ne ha voglia, può andarsi a rileggere gli originali. In ogni caso, tutto è sintetizzato in due titoli. Il primo: “Scandalo in Diocesi: sui volantini di Don Enrico non c’era scritto tutto, il resto in una pen drive che ci ha portato la Befana” (7 gennaio 2019). Il secondo: “Il caso Don Enrico e la pen drive della Befana: nulla da dichiarare, Monsignor Aiello?” (9 gennaio 2019). In più c’è un’appendice al tema in “Attenti a quei due” di domenica scorsa. Lo stralcio si potrebbe titolare: “Caro Vescovo, il tempo per parlare è scaduto”.

Mai il condizionale (“si potrebbe”) fu tanto azzeccato. Perché – sì – Signore e Signori, alla fine Monsignor Aiello ha parlato. E lo ha fatto nel modo più intelligente e discreto possibile, naturalmente autorizzandomi a raccontare del nostro incontro: cosa che sto per fare, senza tralasciare niente. E senza veli.

Cominciamo daccapo, allora. Lunedì 14 gennaio, ore 9,40. Squilla il mio cellulare, numero sconosciuto. Rispondo. Dall’altro capo, una voce che non riconosco:”Franco Genzale?”. “Sì, chi è?”. “Sono il vescovo di Avellino”. Penso a uno scherzo, ne arrivano tante di telefonate burle. Uno che mi frega sempre è Giuseppe De Mita, quello che io definisco “’O bbuono”. Impossibile, quando lo imita, distinguerlo dallo zio Ciriaco.

Dunque: “Sono il vescovo di Avellino”, dice la voce al telefono. “Vabbuò – gli rispondo – Io sono Papa Francesco. Posso fare qualcosa per te, figliuolo?”. Lui si fa serio e insiste: “Non è uno scherzo, Franco. Sono il vescovo Aiello. Parlo con tante persone della mia Diocesi. Mi farebbe piacere incontrarti. Sai già di cosa voglio parlare”. “Va bene, Monsignore. Anzi, correggo: va bene, Arturo. Visto che mi hai dato del tu, ed io ho perfino qualche anno più di te, mi consentirai l’eccesso di confidenza. Oggi e domani sono impegnato. Va bene per te in Curia mercoledì?”. “Aspetta che guardo l’agenda. Ecco, sì. Potremmo fare alle 10,30. D’accordo?”. “Perfetto. Buona giornata”.

Mercoledì 16 gennaio. Sono di buon umore. Anzi, felice. Il mio nipotino Francesco compie tre anni. Lui vive con i genitori ad Amsterdam. Gli ho appena fatto gli auguri via WhatsApp. Ma è solo un “assaggio”. Venerdì (ieri per chi legge) sono da lui. Glielo avevo promesso quando nacque: “Ogni tuo compleanno, finché campo, verrò a festeggiarlo da te, ovunque tu sia”.

Perdonate la personalissima digressione. L’ho inserita soltanto per dire che sono arrivato in Curia, mercoledì alle 10,50 (mezz’ora per parcheggiare, e Avellino non è New York!), con l’animo felice e sereno, più che mai disposto all’ascolto. Insomma, per dirla in modo appropriato all’ambiente, sono arrivato in Curia vescovile con l’animo dell’uomo di buona volontà.

“Sai già di cosa voglio parlare”, aveva detto il vescovo per telefono. Eh certo che lo sapevo. Sono stato durissimo con lui nei succitati articoli. Ancora più duramente ci sono andato giù nella puntata di “Attenti a quei 2” di domenica scorsa. Nella sostanza, ho fatto capire che durante il collegio presbisteriale riunito a porte chiuse al Loreto nel marzo scorso (registrazione in pen drive recapitatami il giorno della Befana) è proprio del vescovo la voce che dice: “Io mentirò. Sì, io mentirò”, nel caso fosse sottoposto a interrogatorio come persona informata su fatti di debolezze e abusi sessuali commessi da membri del clero. Può un vescovo mentire? E’ questo il nocciolo della questione. Una questione di etica e morale cristiana, prima ancora che di legalità.

Davanti al Palazzo vescovile mi riceve il vicario. Persona squisita. Monsignor Aiello ha predisposto per me una sedia di lato alla sua scrivania, non al di là della scrivania: Un gesto di umiltà che non avrei saputo indovinare in un prelato che, confesso, mi era sempre apparso piuttosto altero e un tantino arrogante.

Comincia lui. “Franco, vorrei subito sgombrare il nostro incontro da due possibili equivoci: io non ho paura di te, e non voglio intimorirti. Qualcuno mi ha consigliato di denunciarti. Ma se avessi voluto farlo, non ti avrei chiesto di vederci”.

Per un attimo, a quelle parole, il diavoletto che è in me ha avuto un fortissimo prurito alle corna. E mi ha tentato, insinuandomi questo pensiero: “Mi alzo, guadagno la porta, la sbatto come merita, e arrivederci alla prossima puntata. Poi, niente: è prevalso il senso cristiano dell’uomo di buona volontà. Ma senza rinunciare al giusto principio professionale: “Vedi, Arturo: io non saprei dire, tra te e me, chi è il diavolo e chi l’acqua santa. So per certo che non ho mai inteso metterti paura, non è nel mio carattere. E so con altrettanta certezza che ti sarebbe impresa impossibile intimorirmi. Altri ci hanno provato, in 45 anni di mestiere, ma inutilmente. In ogni caso, fossi in te, accetterei il consiglio di chi ti ha suggerito di denunciarmi: così la famigerata registrazione di quel collegio presbiteriale la facciamo ascoltare dal Tribunale Urbi et Orbi. Risultato: io sarò assolto perché il fatto non sussiste e tu ci rimedierai una pessima figura. Ciò detto, sgombrato il campo dagli equivoci, vogliamo andare avanti?”.

Le persone intelligenti hanno (generalmente) una cosa in comune: non ripetono mai lo stesso errore. Monsignor Aiello è persona molto intelligente. Dice che nemmeno per un momento ha pensato di denunciarmi. Poi dribbla l’argomento, e va dritto al cuore del problema.

Ammette: “Io ho pronunciato quella frase. So di usare spesso un linguaggio paradossale”. Mi scuso e lo interrompo. “A volte il tuo linguaggio è molto paradossale. Ricordo che al tuo primo incontro pubblico con la città, usasti questa espressione: Ma cosa bisogna dare a questa città per farla rialzare, il Viagra?. Io non mi scandalizzo, Monsignore. Il mio linguaggio è spesso molto più forte. Ma c’è un dettaglio: io faccio il giornalista, tu sei un vescovo. Il Viagra non era l’unica metafora cui ricorrere per esprimere il concetto. O no?”.

Annuisce. E riprende: “Ho detto effettivamente che avrei mentito se sottoposto a interrogatorio. Attenzione, però, al contesto: non solo – ripeto - era un linguaggio paradossale; quant’anche e soprattutto era riferito alle debolezze della carne, presenti ovunque, anche nel clero, non agli abusi sessuali. Il mio voleva essere, ed è, un messaggio di protezione. Ho usato il paradosso, ma il senso era ed è questo ”.

Lo contraddico. “Monsignore, il contesto era ed è quello più generale: delle debolezze e degli abusi sessuali. Le debolezze della carne, clero o non clero, non sono materia che può interessare la magistratura, non ci sarebbe ragione di sottoporre chicchessia a interrogatorio, tanto meno un vescovo. Ma mettiamo pure che il contesto sia stato equivocato, e fermo restando che un vescovo, al pari di una qualsiasi altra persona, non dovrebbe mai mentire, la domanda che ti pongo e che può chiudere la vicenda è una soltanto: se tu fossi a conoscenza di abusi sessuali da parte di membri del clero, e venissi interrogato da un magistrato, mentiresti o no? Una risposta in un linguaggio chiaro, senza paradossi: sì o no?”.

“Assolutamente no! E ribadisco: durante il collegio presbiteriale, mi riferivo alle debolezze della carne. Il mio era e resta un messaggio di protezione, non di assenso. Nei confronti di chi ha sbagliato sono stati assunti provvedimenti adeguati”.

“Profitto della tua apertura al dialogo, Monsignore. Lo sai che Don Enrico Russo non fu il solo ad organizzare e a mettere in atto durante la notte il famigerato volantinaggio con il quale si accusavano di abusi sessuali ben dieci parroci di questa Diocesi? Lo sai che le sette persone che lo aiutarono avevano subito, da ragazzi, abusi sessuali nell’ambito del clero?”.

“Assolutamente no. Non sono a conoscenza di questi fatti”.

Il colloquio è finito così. Non abbiamo alcun motivo di dubitare della buona, anzi ottima, fede del vescovo di Avellino. Ci siamo salutati cordialmente. Monsignor Arturo Aiello, come tutti sanno, è appassionato di buona musica. Tra i suoi idoli c’è sicuramente Bob Dylan. Abbiamo cercato (e trovato) per lui questi versi tratti da una “lirica” (Una ventata di idiozia”) del grande cantautore e poeta statunitense:

“….C’è qualcuno che mi ha preso di mira, fanno uscire fandonie sui giornali / chiunque sia vorrei che la smettesse, ma quando lo farà lo sa soltanto Dio…..Al settimo giorno il prete si è vestito di nero ed è rimasto lì impassibile / con la chiesa che intanto andava a fuoco...”.