“Romanzo italiano”. INTERVISTA ad Andrea Villani

In uscita con “Romanzo italiano. Una storia di mafia, amore e (soprattutto) precariato”, Andrea Villani accetta di farsi intervistare dal saccente sottoscritto. Un rischio davvero troppo grande anche per lui.

Ma, tocca dirlo, con una punta di invidia riservata a chi sa stupirti per bravura… alla fine se la caverà in modo egregio, tra trucchi del mestiere, svolazzi e lazzi, evoluzioni vertiginose sugli specchi del dicibile.

Tra le persone che conosco – scusami, tra gli amici – Andrea è quello che danza meglio con le parole.  Danza con la parola scritta, cantando le sue storie, come lo ha definito nella prefazione Carlo Lucarelli… uno che di noir se ne intende abbastanza. Danza con la parola detta e contata sui secondi, nel suo Street Talk, uno degli ultimi esempi attuali di intrattenimento culturale in TV. Danza infine, con la parola agita, a teatro come all’osteria, viaggiando l’alto e il basso del verbale, con la disinvoltura di chi ha imparato le lezioni direttamente sul campo.

E’ così, solo così, che una conversazione con Andrea diventa una performance, dove l’osteria si fa palco… e quale palco migliore del tavolaccio bandito di salumi e vini della “Bassa”, in una sera davvero ostica di quasi neve? Lui si trasforma in Andreavillani: “Che inizi la commedia!”

“Si ma fate presto (disse l’oste) che tra mezzora si chiude”

Ed è in quell’imprevista, vigliacca fretta, che il situazionismo di Andreavillani esprime il meglio. Usciamo tra gli applausi dell’oste, non più così frettoloso. Andreavillani mi anticipa sul conto. Mi tocca dire che è anche un “signore”.

1. Iniziamo dalla fine: sei soddisfatto del tuo ultimo “Romanzo italiano”?
Il problema è che io non sono mai soddisfatto di me stesso. Non lo sono mai stato. Unica eccezione: quella meraviglia di mia figlia.
Comunque no… E’ un libro fantastico! Ma non ne sono soddisfatto.

2. Il sottotitolo dice molto. E’ più una scelta tua o una scelta editoriale?
Con la Compagnia Editoriale Aliberti, nella figura di Francesco Aliberti, ma anche del Direttore editoriale Alessandro Di Nuzzo (uomo che amo intellettualmente da una ventina di anni), ci si è trovati a dare una dimensione più commerciale ad un titolo – Romanzo italiano – che solo un egolatra come il sottoscritto avrebbe potuto intitolare in questo modo.

3. “Dopo i Promessi Sposi, ecco a voi Romanzo Italiano”
Esatto. Per cui abbiamo sottotitolato “Una storia di mafia, amore e (soprattutto) precariato” che anticipa un po’ il contesto in cui si svolge il libro. La Wertmuller (manca la dieresi sulla tastiera, ndr) è rimasta dentro di me… questo sottotitolo lo testimonia.
La parentesi invece è colpa di Luca Sommi.

4. Beh… Lui ha sempre qualche colpa…
Luca Sommi ha voluto la parentesi: è geniale… ma come tutte le cose geniali, in Italia la capiranno in 6.

5. L’intreccio narrativo si basa su due contesti paralleli, apparentemente senza contatto, che poi in realtà rappresentano un’Italia più vera del vero. Nell’eccesso, nell’enfatizzazione, si riscopre una situazione più reale di quella percepita quotidianamente… giusto?
Tu hai capito quello che mi hai detto, vero? Forse anch’io… credo di averlo capito.
Attraverso il paradosso, raccontiamo delle realtà. Tu m’insegni l’origine del termine: paradoxum… il contrario della ragione.
Attraverso l’arte e la letteratura noi siamo sempre contrari alla ragione.
Arriviamo all’arte attraverso la ragione, ma, una volta arrivati all’arte la perdiamo.
Quindi, in qualche modo, io racconto un paradosso e, artisticamente, racconto la verità.
Perché è questa la verità: l’Italia è riuscita a creare, attraverso una storia millenaria, un giro di 360°… l’assurdo si è ricomposto.
A parte che l’Italia non esiste: questa striscia geografica, questo stivale aggrovigliato tra mille dialetti, culture, situazioni diverse, fantastiche, grottesche.
Ma io racconto questo assurdo grottesco, senz’alcuna soluzione. Perché non vi è alcuna soluzione.
Il lato comico è raccontato, interpretato da coloro che pensano di avere una soluzione: questi sono i veri comici!

6. Carlo Lucarelli, nella sua bella introduzione al libro, ti definisce affettuosamente “cantastorie”.
Per me “cantautore” è un complimento… per te lo è “cantastorie”?
Carlo Lucarelli mi ha definito: “imbroglione”, “paraculo”, “rompicoglioni”, “vattene via di qua” …direi che tra tutte le cose che Carlo Lucarelli ha detto di me, considero “cantastorie” un vezzeggiativo meraviglioso!
Considero Carlo uno dei migliori intellettuali che abbiamo adesso in Italia, perché essere intelligente in maniera moderata, che è del tutto diverso dall’essere moderatamente intelligente,
è qualcosa in cui riesce solo lui.
Oggi coloro che esprimono la propria intelligenza, la esprimono sempre attraverso iperboli.
Carlo non ha bisogno di questo: è se stesso, è cultura, intelligenza, pragmatismo.
Già l’essere definito da lui per me è un complimento.
“Cantastorie” poi è bellissimo, perché effettivamente io narro le situazioni, i personaggi, che estrapolo dalla realtà e rappresento, attraverso il piglio artistico e letterario, per quello che sono.
Mio nonno, quando era bambino, vedeva i cantastorie arrivare nelle corti di campagna… arrivavano i cantastorie, i contadini arrivavano con le sedie e si sedevano ad ascoltarli, mentre voltavano le carte su cui erano disegnate le loro storie.
Questi cantastorie che arrivavano coi somari, o con le biciclette, giravano raccogliendo denari, uova, pezzi di pane, litri di vino… questi erano i cantastorie: essere definiti in questo modo è fantastico.
Arrivare per raccontare storie, per quelle che sono, attraverso l’uso di una dialettica artistica che, chi ti ascolta non percepisce neanche come artistica, ma ne resta comunque affascinato.
Perché, sinceramente, non mi interessa essere giudicato da quattro intellettuali da strapazzo, che ora in Italia sono capaci solo di rompere i coglioni.
Mi piacerebbe parlare con altra gente.
Lucarelli mi ha definito cantastorie: io lo ringrazio e giudico lui un grandissimo uomo!

7. Cosa bolle in pentola per la nuova edizione dello Street Talk? Ormai è un evento che sta assumendo una dimensione sempre più ampia, senza perdere la sua connotazione salsese.
Confessalo Andrea: sei tu la nuova Miss Italia!
Furbetto! …bella però questa cosa… mi piacerebbe veramente essere la nuova Miss Italia.
Per due motivi completamente diversi:
1. Quello vero… sarebbe davvero il caso che qualcuno più bravo di me, con una trasmissione più bella della mia – che nessuno riuscirebbe a fare –che riuscisse a identificare Salsomaggiore (come ha fatto Miss Italia), con una trasmissione di alto intrattenimento, in cui si possa parlare di arte, letteratura… beh, sarebbe una cosa fantastica!
Cultura è diventata una parolaccia… allontana gli sponsor …diciamo “alto intrattenimento”.
Se questo succedesse, sarei l’uomo più contento del mondo.
2. Sarei felice di essere Miss Italia, inoltre, perché tu sai che dentro di me, nel mio profondo, sono convintissimo di essere una bellissima donna! (versione ad uso pubblico di altra definizione, ndr)

8. Ti è piaciuto Sanremo?
Considero snob quelli che dicono di non guardare Sanremo, però io purtroppo non l’ho visto.
Chiedo scusa.

9. Situazione sociopolitica… è il momento della risposta a ruota libera… ti va di rispondere?
Tu stai parlando con un vecchio radicale di orientamento cristiano.
Sociopoliticamente stai parlando con un ossimoro.
Da qui nascono 1500 contraddizioni: io sono un uomo che di giorno è di sinistra, verso sera inizia il suo processo di socialdemocratizzazione… dopo mezzanotte è assolutamente di destra!
Sino alle 6 del mattino. Alle 6 del mattino sono comunista!!!
Quando mi alzo per la prima pisciata.
A me piace parlare con Alberto, perché è il Peppone del 2018, evoluto ma sempre nello stile… anzi direi che tu sei Peppone e Don Camillo insieme, messi dentro alla macchina di Cronenberg – “La mosca” (fatti la citazione en passant, ndr) …tu prendi Peppone e Don Camillo, ed esce Alberto Padovani.
Ok, stanotte vado a Fontanelle, invece di tornare a Colorno…
Seriamente, dal punto di vista sociopolitico vedo un disastro, nel senso che non c’è più nessuno che si occupa di politica.
La politica è diventata un linguaggio, esattamente identico a quello del calcio.
A nessuno interessano i programmi, a nessuno interessano le idee degli altri…
Ragioniamo: quanti, tra quelli che vanno a votare, sanno esattamente quello che stanno facendo?
A me non piace sparare numeri a caso, però sicuramente sono una minoranza… gli attivisti dei partiti, i simpatizzanti attivi, i giornalisti che sono costretti ad occuparsi di politica, qualche intellettuale. La stragrande maggioranza vota semplicemente, emotivamente, esteticamente, per simpatia personale, ma nessuno ha mai letto i programmi, quello che pensano e vogliono gli avversari, quella che può essere la situazione sociopolitica dell’Italia una volta votato.
Che senso ha oggi quello che esce dall’urna? Ha un senso reale sociopolitico? Quando alla gente interessa andare sui social a scannarsi e buttare il veleno su uno sconosciuto, per esorcizzare le proprie frustrazioni, senza occuparsi assolutamente del pensiero altrui (applauso dell’oste, ndr).

10. Nessuno crede che questo sarà il tuo ultimo libro… cosa ci stai preparando sotto il naso o sotto il tavolo per il prossimo futuro?
Questo libro è uscito perché credo in questo mio nuovo editore, Aliberti. Dopo l’avventura con Mursia (libro su “Luciano Lutring. La vera storia del solista del mitra”, consigliatissimo, ndr), con cui sono stato benissimo, avevo deciso di non scrivere più libri.
La parola “Scrittore” non esiste più… meglio dire “scrivente” oggi, dove sono tutti scrittori, quindi di fatto nessuno è scrittore. Dopo l’avvento del digitale, con la possibilità di pubblicare anche solo 50 copie, che senso ha questo lavoro? Addirittura ci sono case editrici che pubblicano una sola copia cartacea (il resto è sulle piattaforme digitali).
Tutti i manoscritti nel cassetto di una volta, che dovevano rimanere a ragione nel cassetto, oggi sono tutti pubblicati!
Mi ero quindi stancato di questa situazione insensata, dove devi diminuire il livello della tua scrittura per riuscire a vendere, devi cambiare te stesso, non puoi essere più te stesso dal punto di vista letterario e narrativo, altrimenti vendi meno. Per questi motivi sostanzialmente avevo deciso di smettere.
Con Aliberti si può fare un discorso diverso. Ma soprattutto io dovevo, frequentando scrittori di qualità e altri artisti (musicisti, pittori, etc…), restituire qualcosa di nuovo all’ambiente che frequento.
Nel momento in cui io sono diventato una specie di “Pippo Baudo” dell’ambiente artistico, dovevo pagare il mio contributo, e l’ho pagato.
Per il futuro non lo so, perché veramente, non so fino a che punto valga la pena di insistere su questa strada chiusa. Io continuo a scrivere, ma mi chiedo: pubblicare? Per chi?
Quindi vedremo… Poi sai, io sono un uomo che vive “ora per ora”… giorno per giorno ci vivevo negli anni 90… Adesso vivo “ora per ora” …a proposito: che ore sono?

E’ ora di andare a pagare… Grazie Andrea, a buon rendere… è stata una bellissima intervista!

Alberto Padovani

 

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