UCRAINA: OMBRE NERE IN PIAZZA MAIDAN

Uno spettro si aggira per l’Europa: il fascismo.
Non tanto e non solo quello al governo in Ungheria ed in Polonia – velato di nazionalismo e di sciovinismo che le istituzioni democratiche comunitarie europee stanno tollerando inerti ed accomodanti – quanto soprattutto quello di cui nessuno più parla, se non per ammantarlo di un’aureola di martire nei confronti delle provocazioni russe, cioè il nazismo ucraino.
Molti occidentali – complici servizi giornalistici accomodanti delle tv nazionali – quando a Kiev cominciò la “rivolta del Maidan” si schierarono subito con la piazza vedendo in quegli avvenimenti una sorta di rivoluzione romantica del popolo in armi che scende in piazza per scacciare il tiranno di turno senza porsi minimamente il problema di indagare i fatti e di interrogarsi, di conseguenza, sulla natura del “golpe” perché di questo si tratta visto che il Presidente in carica, Viktor Yanukovich, aveva preso il potere non con le armi bensì avendo vinto democraticamente le elezioni politiche.
Ma tre mesi dopo quei fatti, il 25 maggio del 2014, il miliardario americano George Soros rivelò al giornalista della CNN Fareed Zakaria di essere stato responsabile della
creazione di una fondazione in Ucraina che contribuì attivamente al golpe contro il presidente Viktor Yanukovich e all’insediamento di una giunta sostenuta dagli Stati Uniti d’America,
spiegando: “Ho creato una fondazione in Ucraina prima che il paese diventasse indipendente dalla Russia. Questa fondazione ha continuato a operare e ha avuto un ruolo importante negli eventi recenti”.
E’ noto, anche se nessuno ne parla, che George Soros in passato ha lavorato in stretta collaborazione con organizzazioni quali:
USAID, “United States Agency for International Development” (Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale)
NED, “National Endowment for Democracy” (Fondazione Nazionale per la Democrazia)
IRI, “International Republican Institute” (Istituto Repubblicano Internazionale)
NDI, “National Democratic Institute for International Affairs” (Istituto Democratico Nazionale per gli Affari Esteri)
FH, “Freedom House” (Casa della Libertà)
proprio allo scopo di far scoppiare una serie di rivoluzioni nell’Europa dell’est e nell’Asia centrale dopo il crollo, anch’esso programmato e sostenuto, dell’Unione sovietica.
Molti partecipanti alle manifestazioni di piazza Maidan a Kiev erano membri delle ONG fondate da Soros o da queste addestrati appositi in seminari e conferenze sponsorizzate dalla “International Renaissance Foundation” (IRF) di Soros e dai suoi numerosi istituti e fondazioni “open society” tra loro collegati.
La IRF, in particolare, fondata e finanziata da Soros, si è vantata di aver ricevuto più donazioni di tutte le altre organizzazioni per attuare la trasformazione “democratica” dell’Ucraina e nel mese di aprile del 2014 era stato annunciato che Andriy Parubiy e altri leader implicati nel colpo di Stato lavoravano con CIA ed FBI per sconfiggere e uccidere i separatisti che si opponevano al governo di Kiev; dopo il golpe, Andriy Parubiy è divenuto capo del Consiglio di Sicurezza e di Difesa Nazionale dell’Ucraina.
Il movimento reazionario di massa della Maidan che scosse Kiev e che condusse al rovesciamento del governo Yanukovich, raggiunse il suo apice il 20 e il 21 febbraio del 2014 quando negli scontri a fuoco tra i poliziotti della «Berkut» (la guardia scelta del governo) e i dimostranti, morirono oltre cento persone.
Si trattò della più importante insurrezione in Europa orientale del dopoguerra dopo quella ungherese del 1956 e, probabilmente, un giorno bisognerà riscrivere gli eventi drammatici accaduti in quei giorni.
Anche se tenute sotto traccia dai media occidentali ed a maggior ragione da quelli di regime in Ucraina, sono filtrate verità scottanti sui burattinai che mossero le pedine in piazza Maidan ed i primi squarci si vedono anche in Italia sebbene non su testate allineate al pensiero unico.
“Durante i giorni caldi del 2014 in Ucraina – dichiaravano al «Il Manifesto» nel mese di febbraio di quest’anno Alexander Revazishvili e Koba Nergadze, due «contractors» georgiani operanti in piazza – siamo stati reclutati da un membro del governo Usa. Lo scopo: fare i cecchini e uccidere più persone possibile”. E Alexander Revazishvili, aggiungeva: “Giunse alla nostra tenda sulla Maidan, Mamulashvili con un ucraino che si faceva chiamare Andrea, ma soprattutto con un americano che indossava la mimetica, un ex soldato dell’esercito, che si presentò con il nome di Cristopher Bryan”. Mamuka Mamulashvili era uno stretto collaboratore di Michail Shakashivili, ex presidente della Georgia, ed il misterioso Cristopher Bryan venne presentato come «istruttore di contractors». La circostanza è confermata dall’altro georgiano, Koba Nergadze, che incontrò separatamente Bryan ma questa volta alla presenza proprio di Shakashivili: “Era presente all’incontro anche l’attuale capo della sicurezza nazionale Sergey Pashinsky. Gli ordini venivano dati da Bryan e a noi tradotti in georgiano da Mamumashvili. Un gruppo di «contractors» diretto da Pashinsky, e composto da lituani, polacchi e georgiani avrebbe dovuto recarsi all’edificio del Conservatorio ma non avevamo idea per far cosa”.
Il racconto di Nergadze è ancora più coinvolgente e determinante per quanto riguarda quello che successe in seguito, esattamente la mattina del 20 febbraio su piazza Maidan dove sarebbero morte almeno 60 persone durante i violenti incidenti: “La mattina verso le 8 ho sentito spari provenienti dal Conservatorio. Dopo tre o quattro minuti il gruppo di Mamulashvili ha anch’esso iniziato a sparare dall’hotel «Ucraina». I due gruppi di cecchini spararono in modo incrociato sia sulla polizia sia suoi dimostranti cercando di provocare più morti possibili” e poi “Pashinsky mi ha aiutato a scegliere le posizioni di tiro. Verso le 7.30 del mattino (o forse più tardi) Pashinsky ordinò a tutti di prepararsi ad aprire il fuoco. Avremmo dovuto sparare 2 o 3 colpi e poi cambiare posizione in modo che i colpi sembrassero casuali. Abbiamo continuato per circa 10-15 minuti. Successivamente, ci è stato ordinato di abbandonare le armi e lasciare l’edificio”. I due georgiani dichiararono anche che, per provocare il massacro, ricevettero due pagamenti: il primo di 10mila dollari e il secondo di 50mila dollari; per ogni parlamentare dell’opposizione ucciso avrebbero ricevuto altri 1.000 dollari supplementari. Queste rivelazioni relative all’opera di provocazione americana nei giorni della rivolta di piazza Maidan confermano la tesi di Ivan Katchanovski, ricercatore della «School of Political Studies» dell’Università di Ottawa – riportata in uno studio che si basava su oltre 2.000 documenti processuali, analisi balistiche e centinaia di ore di registrazioni video – nella quale egli proponeva un’ inquietante interpretazione sugli eventi che portarono sull’uccisione di tanti manifestanti in quei drammatici giorni di guerriglia urbana: una parte dei manifestanti sarebbero stati uccisi da cecchini appartenenti alle formazioni di estrema destra «Pravy Sektor» e «Svoboda». Si trattò, in gergo militare, di una «false flag operation» e cioè di un’azione militare volta a far ricadere la responsabilità di quanto successo sul nemico, in questo caso sulla polizia del governo Yanukovich.
Tutta una serie di rivelazioni, ormai, gettano un’ombra ancor più lugubre su tutta la vicenda: in piazza Maidan non spararono solo cecchini dei gruppi neofascisti ma anche mercenari assoldati dagli americani per mezzo dell’ex-presidente georgiano Shakashvili. Che questi fosse al soldo della Cia, non c’è mai stato dubbio alcuno fin dai tempi della guerra russo-georgiana del 2008 ma ora, se venisse provato il ruolo di Shakashvili quale organizzatore del massacro durante la «rivolta del Maidan» allora si potrebbero iniziare a mettere insieme i pezzi del puzzle e tirare alcune conclusioni: sul perché quest’uomo venne premiato, nel 2015, dal presidente Petr Poroshenko con la nomina a capo della provincia di Odessa e con il conferimento del passaporto ucraino oppure sul perché rientrò indisturbato a Kiev nell’autunno 2017 per dirigere il suo «movimento anticorruzione» oppure, ancora, sul perché nonostante l’espulso dall’Ucraina proprio per corruzione fosse stato accolto in tutte le cancellerie europee.
E che dire della partecipazione al golpe, in prima fila, di personaggi come il senatore repubblicano USA John McCain che si è recò proprio in piazza Maidan per arringare la folla e spronarla ad andare oltre per conseguire il proprio obiettivo oppure della partecipazione di bande di neonazisti con i loro simboli in evidenza che spararono sulla polizia, occuparono edifici pubblici, uccisero impunemente agenti di sicurezza ed oppositori politici.
Addirittura fu riabilitato, ed il ritratto portato in piazza, Stepan Bandera un nazionalista collaboratore delle SS tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale, responsabile dello sterminio di decine di migliaia di ebrei e di oppositori del nazismo nel suo Paese.
Tutte le notizie contrarie alla Giunta golpista che prese il potere a Kiev vennero sistematicamente oscurate dai canali dei media occidentali, compresa – cosa gravissima – la notizia relativa all’intercettazione della conversazione telefonica avvenuta il 25 febbraio 2014 tra il rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri all’epoca dei fatti, Catherine Ashton, e il ministro degli Esteri estone Urmas Paet all’indomani della caduta di Yanukovich, nella quale si ammetteva sostanzialmente che erano stati i nazionalisti ucraini a dispiegare i cecchini.
“Tanto tra le persone quanto tra i manifestanti ci sono stati morti uccisi dai cecchini. Gli stessi cecchini uccidevano persone su entrambi i fronti. C’è l’impressione sempre più forte che dietro i cecchini non ci sia Yanukovych ma qualcuno della nuova coalizione” diceva il ministro estone citando la testimonianza di Olga Bogomolets, medico e fisico vicina ai manifestanti di piazza Maidan, che aveva raccontato come le ferite sui cadaveri tanto della polizia quanto dei manifestanti motrassero le impronte “della stessa mano, gli stessi proiettili”.


In Ucraina ancora oggi la rivalutazione del neonazismo va fortissimo, in si è mai interrotto il filo conduttore tra finanziatori, organizzatori e massacratori di piazza Maidan. Il sito canadese «Global Research» a questo proposito scrisse diversi articoli nei quali spiegava come i neonazisti fossero stati non solo tollerati, ma anche utilizzati “finanziati, premiati con cariche parlamentari, ministeriali e non solo. E’ quel che accade in Ucraina come, a un anno dalla cosiddetta “rivolta di Maidan” e in coincidenza col voto all’ONU, documentano svariati post”.
Membri dell’estrema destra ultranazionalista e nazista – in prima fila nei giorni della rivolta di piazza Maidan – furono premiati con l’ingresso in Parlamento ed alcuni anche nel nuovo governo appena nato al posto di quello di Yanukovich. Tra loro Andry Parubiy, segretario del Consiglio Ucraino di Difesa e Sicurezza Nazionale, ex fondatore del Partito Nazional Socialista dell’Ucraina (formazione di estrema destra ultranazionalista e neonazista nata nel 1991 che poi cambio il nome in Svoboda) oppure Oleh Tyahnybok, il leader di Svoboda, oppure ancora Dmytro Yarosh, vice Segretario per la Sicurezza Nazionale nonchè leader del gruppo paramilitare neofascista Pravy Sektor. 
Ma non è finita, perché sempre nel primo governo dell’Ucraina “democratica” altri politici dichiaratamente fascisti e nazisti occuparono ruoli chiave come Oleksandr Sych, vice Primo Ministro, Ihor Shvaika, ministro dell’Agricoltura, e Andriy Mokhnyk, ministro dell’Ecologia, tutti aderenti a Svoboda. E come, da ultimo ma non ultimo, dimenticare le milizie neonaziste composte da volontari e da mercenari che seminano terrore e sangue nella guerra civile nelle regioni orientali, andando a fare il lavoro sporco per conto dell’esercito di Kiev contro i separatisti. Secondo AFP – «Agence France-Press» – un’agenzia di stampa francese, sarebbero tra i 34 e i 50 questi gruppi paramilitari neonazisti e conterebbero più di 7.000 uomini, molti dei quali arrivati dal resto d’Europa come una sorta di «Internazionale Nera». Tra i più famigerati il «Battaglione Shaktar» che viene dipinto da Human Right Watch e Amnesty International come un gruppo criminale che ha applicato il sequestro e la tortura sistematicamente, al comando di Oleg Lyashko, capo del «Radical Party» oppure il «Battaglione Donbass» al comando di Semen Semenchenko, poi diventato senatore di Kiev, oppure il «Battaglione Dniepr1» guidato da Yuru Bereza, anch’egli poi senatore, oppure il «Battaglione Azov» comandato da Andriy Biletsky.
Tutto chiaro alla luce del sole in Ucraina, eppure nessuno solleva il problema del neonazismo, nessuno vuole prendere le distanze da Kiev, nessuno se non la Russia, la stessa Russia che invece i governanti occidentali additano come “Stato canaglia” ed il governo americano finanzia addirittura apertamente gruppi neonazisti, la NATO si è schierata ai confini con la Russia. Da citare – caso più unico che raro nel panorama dell’informazione giornalistica italiana – una serie di inchieste condotte da Maria Grazia Bruzzone su «La Stampa» sul neonazismo in Ucraina e sui suoi collegamenti internazionali: “Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 i membri dell’organizzazione para-militare UNA-UNSO sono stati dietro ogni rivolta contro l’influenza Russa . Il filo che connette le violente campagne è sempre anti-Russia. L’organizzazione, secondo le fonti di veterani dell’ intelligence americana, è parte di una GLADIO segreta della NATO, e non è un gruppo nazionalista come quello che viene descritto dai media occidentali“. Insomma il neonazismo risorge sotto i nostri occhi ed i governi occidentali non solo si girano dall’altra parte ma lo aiutano anche a risorgere.

Raffaele Coppola
Raffaele Coppola
Laurea in Scienze Politiche, indirizzo storico-politico

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