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Il personaggio

“Papà in guerra con Rommel”

“Prima di essere fatto prigioniero e venire deportato in India incontrò il generale tedesco”

“Papà in guerra con Rommel”

Quando, nel 1940, il governo italiano guidato da Benito Mussolini decise di inviare l’esercito nella campagna del Nordafrica, conosciuta ai più come ‘guerra nel deserto’, furono molti i polesani costretti a salutare la famiglia e partire per quelle zone dove venne combattuto uno dei conflitti più sanguinosi del secondo conflitto mondiale. Molti di loro non fecero più ritorno.

Non fu così per Aldo Rovatti, classe 1917, originario di Ariano Polesine, che, dopo la dichiarazione di guerra, lo stato gli fece frequentare il corso ufficiali di complemento e, una volta terminato, all’età di 23 anni e con il grado di sottotenente, fu inviato in Libia, dove l’esercito italiano era impegnato a contrastare la sempre più penetrante offensiva dell’esercito inglese.

Dal ’40 al ’43 fu combattuto in un teatro di guerra situato nel Nordafrica, in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, un conflitto in cui si confrontarono italiani e tedeschi da una parte, e gli Alleati dall’altra. In quei posti, il polesano conobbe il governatore Italo Balbo e poi, quando lo stesso venne abbattuto dal fuoco amico, conobbe il maresciallo Graziani che ne prese il posto. L’esercito italiano in Libia era comandato proprio dal maresciallo Rodolfo Graziani: un esercito forte numericamente ma insufficientemente equipaggiato che diede inizio alla campagna nell’estate 1940 entrando in Egitto ma nel dicembre seguente le forze britanniche del generale Archibald Wavell, modernamente armate e molto mobili, passarono alla controffensiva, sbaragliarono l'esercito italiano e occuparono l’intera Cirenaica.

Sempre in quei luoghi Rovatti incontrò anche, durante una riunione a Benghazi, il comandante Rommel conosciuto oggi con l’appellativo di ‘volpe del deserto’. Rovatti, già maestro alle scuole elementari di Ariano Polesine, è purtroppo scomparso 8 anni fa, ed è il figlio Tito a raccontare alcuni aneddoti di quel periodo, dopo averli sentiti più volte dalla voce del padre.

“Mentre i nostri mezzi dovevano sempre stare sull’unica strada, (la litoranea che corre a circa 200 dal mare e che fa da confine al deserto), gli inglesi, dotati di mezzi efficienti e fuoristrada, provenienti dal deserto e dalla spiaggia approntavano continue imboscate a tenaglia alle colonne dei mezzi italiani, costretti a procedere solo sull’unica strada. Oltre a non avere mezzi adatti - racconta ancora Tito - l’esercito italiano aveva le divise invernali in panno grigio verde e i soldati erano costretti a rimanere vestiti con temperature superiori ai 40 gradi. Mio padre era uno dei pochi fortunati ad avere divisa estiva”.

Nella primavera del 1943, privi di adeguati rifornimenti ed in schiacciante inferiorità numerica e materiale, le residue forze italo-tedesche, passate al comando dei generali Giovanni Messe e Hans-Jürgen von Arnim, si arresero entro il 13 maggio 1943, mettendo fine alla campagna del Nordafrica.

“Dopo le città di Marsa el Brega, verso Benghazi c’è la cittadina di Aghedabia - racconta ancora il figlio -La litoranea è sempre un po’ elevata rispetto il livello mare. Circa sette chilometri prima di Aghedabia, la litoranea sprofonda in una vasta depressione. Lì gli inglesi aspettavano la nostra colonna, nascosti dietro le dune del deserto. Con una mossa a tenaglia, l’imboscata inglese ebbe successo annientando la lunga colonna italiana. I morti tra gli italiani furono il 90%, i prigionieri pochi. Per fortuna, mio padre fu uno dei pochi - continua - Catturato dagli inglesi, venne deportato in India in un campo di prigionia di soli ufficiali italiani. Lì si fece tre anni, fino alla fine della guerra. Mi disse che erano trattati bene, il mangiare non era a sufficienza, ‘ma sai’ mi diceva mio padre, ‘c'era la guerra’. Non si perse d’animo. La posta funzionava e si fece spedire da suo padre un vocabolario italiano-tedesco ed in quei tre anni di prigionia, imparò il tedesco parlato e scritto. Io ho lavorato circa sette anni in Libia in diversi lavori di costruzioni. Ho lavorato anche nella costruzione della più grossa raffineria libica di Marsa el Brega - conclude - A pochi chilometri verso Aghedabia la litoranea scende… sono stato lì ed ho visto il luogo dell’imboscata e mi è sembrato di vedere mio padre…”.

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