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CARABINIERI E GUARDIA DI FINANZA

La crisi apre la porta alla mafia

Maxi operazione contro la ‘ndrangheta. La strategia: infiltrarsi in ditte in difficoltà

La crisi apre la porta alla mafia

Maxi operazione contro la ‘ndrangheta. La strategia: infiltrarsi in ditte in difficoltà

La crisi, che ha reso gli imprenditori vulnerabili e disperati, per la ‘ndrangheta è stata, invece, una manna. Ha aperto la porta principale dalla quale infiltrarsi in Veneto.

E, ormai, come ha spiegato il procuratore antimafia di Venezia, il termine “infiltrazione” è obsoleto, dal momento che la presenza della malavita organizzata di tipo mafioso in Veneto deve considerarsi radicata.

E’ questo lo scenario confermato dal blitz dei carabinieri del comando provinciale di Padova, appoggiati dalla Guardia di finanza, nell’ambito di una maxi inchiesta coordinata dal personale della Dda di Venezia.

In tutto sono 58 le persone che sono state indagate, per 33 delle quali è scattato l’arresto. A completare il quadro, figure di contorno, per le quali è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria o la interdizione dall’attività imprenditoriale per un lasso di tempo nell’ordine dell’anno.

La tecnica con la quale le ‘ndrine si sono inserite nel tessuto imprenditoriale è, a quanto emerge dalle risultanze dell’indagine, piuttosto elementare: gli affiliati si presentano agli imprenditori in difficoltà, in un primo tempo agendo come amici, investitori disposti a mettere sul piatto le somme necessarie a uscire dalla situazione di difficoltà che, in questi anni, tante realtà stanno attraversando. Una volta che si accetta la mano tesa è già finita.

“E’ impensabile - ha proseguito il procuratore di Venezia Bruno Cherchi - pensare di potere gestire il rapporto con la malavita organizzata e con la ‘ndrangheta. Non si può pensare di accettare la loro vicinanza per un periodo e quindi riprendere per la propria strada”. Purtroppo, però, è proprio questo l’errore che molti commettono, indotti, anche, dalla disperazione di chi vede andare in fumo il lavoro e l’investimento di una vita.

Il che, ironia della sorte, è esattamente quello che accade, senza alcuna possibilità di esito differente, quando ci si mette nelle mani della ‘ndrangheta, alla quale le ditte interessano per motivazioni molto semplici e mai positive. Possono servire per riciclare denaro, per essere utilizzate per accendere mutui e, quindi, ottenere liquidità, o anche per emettere fatture per operazioni inesistenti, in maniera da consentire a soggetti terzi di abbattere l’Iva in maniera illecita. La malavita organizzata, nonostante le illusioni che in molti si fanno, non è interessata a risollevare le sorti di aziende da fare poi lavorare onestamente.

Altro canale messo in piedi dalla malavita per infilare un piede nelle aziende è quello del prestito a usura, al quale in non pochi, in questi anni, sono ricorsi, per cercare di tamponare le falle aperte nei bilanci della crisi. Anche in questo caso, si tratta di una scorciatoia verso la catastrofe finale, dal momento che in questo modo le ‘ndrine ottengono, come risultato, il controllo dell’azienda.

Ci sono stati casi nei quali gli imprenditori, una volta capito il proprio errore, hanno cercato di sottrarsi a questo sistema. In queste circostanze, la malavita ha messo in mostra il proprio lato violento, quello che sempre esiste ed è preminente dietro la facciata “amichevole” che serve solo per avvicinare le vittime. Nei casi in cui, infatti, singoli cercavano di sfuggire alla trappola che si stava chiudendo attorno a loro ci sono state aggressioni fisiche, minacce, intimidazioni.

Un linguaggio, ha spiegato il procuratore di Venezia Bruno Cherchi, che la malavita organizzata è tranquillamente in grado di parlare e una violenza che è assolutamente attrezzata per mettere in campo.

Nonostante questo, le contromisure esistono. Di recente, infatti, ha proseguito Cherchi, in Veneto sono state applicate circa 100 misure cautelari per mafia, intendendo con questo termine non semplicemente l’organizzazione Cosa Nostra, ma i vari gruppi di malavita organizzata esistenti.

E non è detto che l’unico strumento di lotta debba essere quello affidato alla polizia giudiziaria e alla magistratura penale. Un contributo spesso determinante, ha infatti ricordato il procuratore, può essere quello che arriva dalle pubbliche amministrazioni, dalle istituzioni. Spesso è sufficiente, per esempio, fare attenzione a come cambiano determinate proprietà e ragioni sociali, per capire se siano in atto fenomeni allarmanti.

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