"Se il 9 gennaio venisse accolta la sospensiva, inizia il processo di spegnimento dell'Ilva". Quello del ministro Carlo Calenda è un annuncio che per molti ha dell'apocalittico. Un terremoto che avrebbe epicentro a Taranto, ma capace di produrre conseguenze fino a Genova e oltre. A meno che il governatore della Puglia, Michele Emiliano, non faccia un lungo passo indietro.
Al termine del tavolo istituzionale del Mise, Calenda non ha usato giri di parole: "Abbiamo chiarito, una volta per tutte, che l'accettazione della misura cautelare presentata da Comune e Regione determina la chiusura dell'impianto Ilva". Inoltre, spiega ancora il ministro, "se Comune di Taranto e Regione Puglia non ritirano il ricorso, il tavolo è concluso". Quindi, in tal caso, stop alla trattativa con ArcelorMittal.
Ma a Genova ora che succede? Intanto tutti gli incontri in programma sono stati congelati. "Calenda aveva annunciato la convocazione del tavolo per Cornigliano ipotizzando come date l'8 o il 9 gennaio - spiega Bruno Manganaro, segretario ligure della Fiom-Cgil - ma a questo punto non si farà nulla". Anche l'incontro del prossimo 22 dicembre, in cui il Governo avrebbe annunciato la ripresa della trattativa, è stato ufficialmente rinviato.
Ma il vero problema è che la fabbrica di Cornigliano potrebbe davvero fermarsi. Ad oggi lo stabilimento trasforma circa un milione di tonnellate di rotoli d'acciaio provenienti esclusivamente da Taranto. Se in Puglia si arresta la produzione, in Liguria (e di conseguenza a Novi) non arriva più materiale da lavorare. E quindi, una volta terminate le scorte a magazzino, l'impianto deve sospendere la produzione nel giro di qualche settimana.
"Sarebbe un disastro, il suicidio dei lavoratori - conferma Manganaro - In tal caso bisognerà trovare altre soluzioni". L'unico modo di mantenere attiva l'Ilva di Cornigliano sarebbe convincere i commissari a comprare l'acciaio altrove. "Se si fermano gli altoforni - prosegue il sindacalista - è chiaro che qualcun altro deve produrre il materiale. Altrimenti significa che l'acciaio in Italia è finito".
Lo scenario alternativo è scontato: cassa integrazione per tutti, a zero ore. Per Taranto, per Genova e per tutti (o quasi) i 15mila lavoratori del gruppo Ilva, che a quel punto avrebbero ben poco da fare.
Secondo il ministro, la stessa cordata con Mittal è sul punto di naufragare. "Anche con il ritiro della misura cautelare - spiega - la presenza di un giudizio di merito dei giudici che può arrivare anche dopo 2-3 anni determina la sospensione degli investimenti" perché Mittal rischierebbe di perdere tutti i soldi spesi. "Ergo - spiega il ministro - l'investitore dice: io rimango se non si ritira ricorso, ma lo Stato mi deve garantire che, se il Dpcm viene invalidato dal ricorso, mi ridà uno per uno tutti i soldi spesi". Una garanzia necessaria, che costerebbe allo Stato 2,2 miliardi di euro.
LE REAZIONI
"Spero che tutti facciano un passo indietro e si torni a ragionare". Così il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. "C'è grande preoccupazione per questo braccio di ferro tra un governo a maggioranza Pd, un governatore Pd e il ministero dello sviluppo economico. C'era una trattativa ben avviata, che poteva dare i suoi frutti, un investitore che ha vinto la gara e appariva seriamente intenzionato a portare avanti un piano di sviluppo. Senza banalizzare i problemi sul tavolo, che restano moltissimi, avevamo ottenuto incontri per discutere delle realtà locali e il futuro della siderurgia. Rimandare tutto a una sentenza del Tar, che rischia di riportare tutto all'anno zero sembra che sia un modo per abdicare a responsabilità che la politica si deve prendere. E' un modo sbagliato di portare avanti questa faccenda".
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