Domenica 28 Aprile 2024

Jihadiste emancipate

Roma, 28 dicembre 2017 - La disfatta dell’Isis porta alla luce evidenze sottovalutate. Non tutti i jihadisti sono stati uccisi e, con rammarico del ministro della Difesa britannico («un terrorista morto non fa danni»), a forza di salvacondotti e corridoi stanno tentando di orientare la bussola a Occidente e ritornare a casa. Senza bagagli, ma con mogli e figli. Verso i Paesi di origine, i grandi Paesi europei. In questi giorni abbiamo sentito tre storie di donne, altre ne sentiremo. Donne jihadiste, non sempre e non solo succubi, ma anche sanguinarie ed emancipate combattenti. Solo alcune sono morte, le altre ritornano. Il fenomeno, per poter essere compreso bene e nella sua vera essenza, è da analizzare senza stereotipi: non si tratta di numeri asettici, ma di presenze all’apparenza innocue che tra breve ci ritroveremo in casa. Secondo il Real Istituto Elcano di Madrid, specializzato, il 10% dei foreign fighters sarebbe di sesso femminile. Percentuale raggiunta in breve, con crescita esponenziale. Per anni abbiamo considerato la donna come oggetto-vittima di uno jihad tipicamente maschile, potremmo aver sbagliato. A parte le poche europee convertite, il fenomeno andrebbe analizzato nel contesto sociale del mondo islamico occidentale. Le musulmane cresciute in Europa apprezzano la libertà delle nostre donne e il loro ruolo crescente nella nostra società. Cose che, se qualcosa non cambia, loro non avranno mai. E allora, potrebbero pensare, perché non guardare alla jihad come a un’opportunità di salire gradini e contare di più? Jihad come emancipazione all’interno del loro mondo, ecco la vera rivolta sociale.