Domenica 5 Maggio 2024

Romantico e sanguinario. Che Guevara 50 anni dopo

"Feroce repressore": l’altro volto del Comandante

Che Guevara (Lapresse)

Che Guevara (Lapresse)

Washingion, 8 ottobre 2017 - A cinquant'anni dalla morte si riparla di Che Guevara. Tutti sanno chi fosse. Un «guerrillero heroico»’ secondo la leggenda castrista. Al fianco dell’amico Fidel portò la revolucion all’Avana. Poi cercò di esportarla in Africa e in America Latina. Venne ucciso in Bolivia quando gli stessi campesinos che pretendeva di sollevare lo denunciarono ai governativi. Ma con il passare dei decenni questa leggenda è impallidita sino a rovesciarsi nel suo contrario. Almeno fra coloro che, dalla caduta dell’Unione Sovietica in poi, hanno cercato di comprendere come mai questo personaggio fosse stato al centro di un’infatuazione di massa. Come e perché fosse diventato una icona, la proiezione del martire romantico. E hanno sganciato l’immagine storica dall’immagine convenzionale, irreale, agiografica scattata da Alberto Korda, fotografo del regime. Mi riferisco all’immagine, scoperta da Giangiacomo Feltrinelli e riprodotta milioni e milioni di volte sui poster, sulle magliette, nei film e nella letteratura quasi meritasse la stessa venerazione di Madre Teresa di Calcutta o di Martin Luther King o del Mahatma Gandhi.  Ovviamente non era né la prima, né il secondo, né tanto meno il terzo. E nemmeno era un eroe. L’aureola non ha retto alle revisioni di chi ha dismesso gli occhiali della propaganda. Di Massimo Caprara per esempio, non un bieco reazionario, ma un comunista, segretario personale di Togliatti e poi deputato del Pci prima dell’«aiuto fraterno» in Cecoslovacchia. «Il Che – scriveva già vent’anni fa – era un fanatico sanguinario». Per Pascal Fontaine fu un «feroce repressore»: nel suo “Libro nero del comunismo’’ cita questa frase: «l’odio rende l’uomo un’efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».   Solo uno slogan? Niente affatto. Pratica spietata: il Che ordinò l’eliminazione di centinaia o forse migliaia di presunti oppositori, presunte spie, insomma nemici di classe. Molti di sua mano. Nel 1964 parlando all’Onu ammise: «Fucilazioni? Certo. Abbiamo fucilato, fuciliamo e continueremo a fucilare». Ripeteva: nel dubbio fucilare (Jaime Costa Vazquez, ex collaboratore). Hemingway assistette ad alcune esecuzioni di massa. Secondo Humberto Fontoya migliaia di contadini vennero sterminati. Mentre il filosofo Regis Debray, filocastrista, avrebbe scritto più tardi: «È stato lui e non Fidel Castro a istituire i campi di lavoro correzionale sulla penisola di Guanaha».    Padre Javier Arzaga, seguace della Teologia della Liberazione, ci ha lasciato un’impressionante testimonianza. Aveva il compito di confortare i condannati a morte. Nella prigione La Cabana «c’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio per non più di trecento: membri dell’esercito e della polizia di Batista, qualche giornalista, uomini d’affari e commercianti. Il Tribunale Rivoluzionario era composto da guerriglieri. Il Che presiedeva la Corte d’Appello. Non annullò mai alcuna sentenza… lo imploravo di usare clemenza. Gli chiedevo se avesse prove. Rispondeva: le prove sono secondarie».   Nei primi anni Sessanta Guevara divenne cubano. Era argentino. Da Castro fu nominato ministro dell’Industria e presidente del Banco Nacional de Cuba. Poi ministro dell’Economia. Ma di economia non capiva nulla. Impose il modello sovietico. Risultato: la completa rovina della banca centrale già al collasso dopo la fuga dei capitali. Era troppo anche per l’amico Fidel. Il quale decise di toglierselo dai piedi. Lo spedì in America Latina. Il 9 ottobre 1967 l’imboscata e l’uccisione. «Che un personaggio del genere sarebbe assurto a simbolo di pace e giustizia sociale anche nel mondo cattolico era l’ultima cosa immaginabile», afferma lo storico Plinio Correa de Olivera. Dietro il mito il mostro. [email protected]