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Dall’Artico alla Cina è allarme “cozze alla plastica”

di Alister Doyle

Uno studio norvegese ha evidenziato la presenza di frammenti di plastica inferiori ai cinque millimetri anche nei molluschi provenienti dalle acque, presumibilmente incontaminate, dei mari cpmpresi tra l’Artico e le coste più a Nord della Cina

21 DIC - (Reuters Health)– Minuscoli frammenti di plastica stanno contaminando le cozze nei mari che vanno dall’Artico europeo alla Cina. A lanciare l’ennesimo allarme è uno studio del Norwegian Institute for Water Research (NIVA), secondo il quale le cozze provenienti dalle apparentemente incontaminate acque del mare Artico sarebbero invece più inquinate rispetto a qualsiasi altro sito della costa norvegese. Secondo la ricerca, al largo della Norvegia i molluschi conterrebbero, in media, 1,8 bit di microplastiche, materiali di dimensioni inferiori ai cinque millimetri, contro 4,3 bit rivelati nell’Artico. Ed Amy Lusher, del NIVA, ipotizza che le materie plastiche potrebbero arrivare al Polo Nord attraverso le correnti oceaniche o con i venti provenienti da Europa e America.
 
“Le microplastiche sono state trovate nelle cozze, ovunque gli scienziati abbiano cercato”, sottolinea l’esperta. E infatti, studi precedenti avevano evidenziato la presenza di microplastiche al largo di diversi stati, tra cui Cina, Cile, Canada, Gran Bretagna e Belgio. E proprio Cina e Unione Europea sono tra i principali produttori di cozze da allevamento, un business che vale tre miliardi di dollari.
 
Le cozze “cartina di tornasole” del mare
Lo scorso anno alcuni ricercatori cinesi hanno suggerito di usare le cozze come “bioindicatore globale dell’inquinamento da microplastiche”, dal momento che questi molluschi vivono sui fondalie e, a differenza dei pesci, sono stanziali. Tuttavia, l’impatto delle microplastiche sulla vita marina o sugli essere umani, quando vengono consumati prodotti ittici, non è chiaro. Secondo gli scienziati, bisognerebbe mangiare grandi quantità di molluschi per essere a rischio. In ogni caso, questo “è un segnale di avvertimento che dobbiamo fare qualcosa per ridurre la diffusione della plastica negli oceani”, commenta Richard Thompson, della Plymouth University.
 
“È un motivo di preoccupazione attuale, piuttosto che un allarme sul consumo umano”. E proprio questo mese, quasi 200 nazioni hanno firmato una risoluzione delle Nazioni Unite per eliminare l’inquinamento della plastica dal mare, che va dalle bottiglie ai sacchetti del supermercato, agli imballaggi alimentari, stimato in otto milioni di tonnellate l’anno.
 
Fonte: Reuters
 
Alister Doyle
 
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

21 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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