La più grave strage del Mediterraneo è peggio di quanto creduto finora: morirono 1100 migranti
Un reportage di Associated Press svela il nuovo bilancio e racconta come un a squadra di investigatori ha scoperto il reale numero delle vittime nel naufragio del peschereccio carico di migranti a largo delle coste della Libia nel canale di Sicilia il 18 aprile del 2015. Le operazioni di identificazione dei morti, già difficili, si complicano ulteriormente ora che anche il clima nei confronti dei migranti è cambiato. "Se questa barca non fosse stata piena di africani ma di persone provenienti dagli Stati Uniti, dall'Australia o dal Giappone, avremmo fatto di tutto per recuperare i corpi e trovare la loro identità, per dare nomi a quelli persone, perché erano persone."
Prima che le loro vite fossero spezzate in una trappola mortale sott'acqua, prima di finire allineati in file di cento su una spiaggia libica in attesa di imbarcarsi su un peschereccio senza ancora, i giovani uomini provenienti dai villaggi riarsi del Sahel avevano dei nomi. Due investigatori forensi, uno che opera viaggiando in lungo e in largo in Africa e l'altra in un laboratorio universitario in Itala, cercano di mantenere la promessa fatta a suo tempo dal governo italiano di dare un nome alle vittime di quel barcone sovraccarico affondato nel canale di Sicilia a largo delle coste libiche il 18 aprile 2015. La peggiore strage avvenuta nel Mediterraneo a memoria d'uomo.
L'impegno fu preso prima che l'Europa si rivoltasse contro i migranti e si è appena fatta più difficile da mantenere. Arrivati vicini alla prima vera identificazione formale, gli investigatori hanno fatto una scoperta devastante: la nave non trasportava 800 persone, come inizialmente creduto, ma quasi 1100. Improvvisamente, ci sono centinaia di altri passeggeri da identificare che vanno ad aggiungersi agli oltre tre anni di lavoro minuzioso che avevano già messo alla prova i limiti della scienza forense e impegnato allo spasimo i due investigatori, un peruviano con esperienza nelle violazioni dei diritti umani e una nota patologa italiana.
La storia del peschereccio e dei suoi passeggeri dimostra come i migranti possano semplicemente svanire, a volte senza lasciare traccia in un tempo in cui la migrazione globale è ai suoi massimi storici. Secondo i dati esclusivi prodotti da Associated Press almeno 62.284 migranti sono morti o scomparsi in tutto il mondo dal 2014. È più del doppio rispetto all'unico conteggio ufficiale tentato dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni dell'U.N. Quella del peschereccio è anche la storia di quanto sia difficile documentare questi morti e dispersi, specialmente in un momento in cui non c'è più la volontà politica di sostenere nemmeno i sopravvissuti, figuriamoci di capire quanti migranti siano morti e chi fossero. Nel 2015, l'allora Primo Ministro Matteo Renzi impegnò l'Italia a dare un nome ai morti nel naufragio del 18 aprile. Ci fu un "breve periodo di luce ", quando le varie agenzie italiane lavorarono in sintonia per recuperare i corpi e iniziare il processo di identificazione, racconta Cristina Cattaneo, la scienziata forense italiana alla guida del progetto.
Da allora i governi hanno ridotto i finanziamenti e le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo sono state interrotte. Molti italiani mettono in dubbio la necessità di identificare dei corpi che hanno già "una tomba sul fondo del mare", dice Roberto Di Bartolo, il ingegnere che ha guidato i pompieri nell'operazione di recupero del relitto, ai reporter di AP Lori Hinnant, Trisha Thomas e Krista Larson: "Ma se questa barca non fosse stata piena di africani ma di persone provenienti dagli Stati Uniti, dall'Australia o dal Giappone", commenta amaramente, "Avremmo fatto di tutto per recuperare i corpi e trovare la loro identità, per dare nomi a quelli persone, perché erano persone." Secondo le informazioni raccolte dai due investigatori, i resoconti pubblicati dei sopravvissuti, i documenti del governo italiano e quelli delle famiglie che temono che i loro cari fossero tra i passeggeri, i migranti finiti a bordo di quel peschereccio avevano cominciato il loro viaggio in circa 20 paesi, dal Bangladesh alla punta occidentale della Mauritania.
Molti provenivano dalla regione africana del Sahel, dove si incontrano il Senegal, il Mali e la Mauritania, dopo aver camminato o fatto autostop verso nord. Il figlio di Cheikh Fofana aveva chiamato in quel periodo per dire che presto se ne sarebbe andato in Europa. Fofana lo aveva consigliato di aspettare una grossa barca che potesse resistere alla forza del mare. Sopravvivere a un vasto oceano non è come guadare un torrente, gli disse. "Gli dissi di non prendere una barca di fortuna, è molto pericoloso, è rischioso perché in mare non ci sono rami a cui aggrapparsi", racconta Fofana. Suo figlio, Tidiane rispose che aveva già aspettato troppo ma promise: "Proverò a prendere una grossa barca". Quella fu l'ultima volta che parlarono. È sparito insieme ad altri due giovani provenienti dalla stessa città. Non si sa se anche loro fossero tra le file di uomini, 12, cento per ogni fila, allineati sulla spiaggia il giorno prima che il peschereccio salpasse dalla Libia. Al all'ultimo minuto, un camion è arrivato con 200 uomini dall'Africa orientale: aveva pagato un extra per avere un imbarco prioritario.
La barca sovraccarica aveva percorso 77 miglia nautiche quando iniziò ad affondare dopo essersi anche scontrata con un mercantile. Affondando si portò in fondo al mare quel carico di vite umane disperate. Ventiquattro corpi furono ripescati subito e portati a Malta. 28 sopravvissuti furono poi raccolti dalla Guardia costiera italiana e portati a Catania. Nei giorni successivi, questi sopravvissuti chiamò casa e il passaparola sul disastro si diffuse rapidamente nel Sahel. In quel periodo, Fofana provò a chiamare di nuovo il figlio ma rispose uno sconosciuto che gli disse che Tidiane era partito per l'Italia. La famiglia chiese aiuto anche a dei marabutti, nella speranza che questi indovini potessero chiarire il destino di Tidiane. "So che se è morto, non c'è più niente che io possa fare, per volontà di Dio. Ma fatevi sapere, è vivo? È morto?" Dice Fofana all'AP coprendosi il volto con le mani: "Questo è il dubbio che mi angoscia."
Ci vollero un anno e 9,5 milioni di euro per recuperare lo scafo dal fondo del mare. L'operazione di resurfacing, filmata dalla Marina militare e trasmessa in tv durò 20 ore. Lo scafo, carico di morte, fu portato nel bacino di carenaggio del porto di Melilli in Sicilia ed è qui che entrò in scena Cristina Cattaneo, una delle migliori patologhe forensi italiane. Giunta in Sicilia in treno dopo un viaggio di 13 ore per via della paura di volare, la Cattaneo non ebbe invece alcun timore a confrontarsi direttamente con la morte e mentre gli altri operatori indossavano tute ignifughe e protezioni contro possibili rischi biologici, lei portava jeans, T-shirt e un paio di guanti di lattice come unica protezione: "Ho trovato davanti a me una fila di sagome umane distese lungo la stiva ... quasi tutti a faccia in giù, alcuni in posizione fetale, molte gonfie di putrefazione, rese umane solo dai capelli, dai guanti, dai maglioni e dalle scarpe che indossavano", ha scritto Cattaneo nel suo libro "Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo", pubblicato recentemente.
I corpi erano stipati in cinque ogni metro quadrato: "Come una nave di schiavi" dice Di Bartolo, "Per rispetto, nessun vigile del fuoco ha mai calpestato un corpo." Nel laboratorio sul campo Cattaneo insieme a 50 patologi e investigatori forensi provenienti da 12 anni università italiane hanno lavorato per prelevare campioni di DNA dai corpi e recuperare gli oggetti personali e comporli nella speranza di identificarli. Mentre Cattaneo contava i corpi - 500 nel settembre 2016 - il procedimento legale andava avanti. Il 13 dicembre dello stesso anno, il capitano tunisino della nave fu condannato per omicidio colposo e tratta di esseri umani a 18 anni di carcere. Il suo compagno siriano patteggiò una pena di 5 anni. Il peschereccio non aveva un'ancora, il "capitano" non aveva idea di cosa stesse facendo, e la nave era così fatiscente da non poter resistere alle onde o sopportare il peso di centinaia di uomini a bordo. Le indagini delle Nazioni Unite e dell'UE hanno rivelato in seguito che il capo dell'operazione era un trafficante libico soprannominato "The Doctor", sospettato di aver "traghettato" 45.000 migranti in Europa solo nel 2015. Famigerato per la sua brutalità non è mai stato arrestato. Alla fine del 2016, le morti dei migranti nel Mediterraneo raggiunsero il picco di oltre 5100, secondo i dati dell'IOM. Alla fine, le cifre ufficiali del governo italiano contavano 547 vittime del naufragio più i 325 teschi che Cattaneo conservava nel suo laboratorio. Nel suo libro, per la prima volta ha manifestato il sospetto che più di 1000 siano morte sulla nave, basandosi sui resoconti dei sopravvissuti e su ciò che vide nello scafo. L'ultimo corpo apparteneva a un Gambiano, codice identificativo PM390345. Aveva nel portafoglio un passaporto, una tessera della biblioteca, una carta dello studente e un certificato di donatore di sangue. Nelle tasche della sua giacca marrone aveva dei semi di fico
Era giunto il momento di trovare le famiglie. Per questo, l'Italia si è rivolta a Jose Pablo Baraybar, un antropologo forense peruviano del Comitato Internazionale della Croce rossa. Baraybar ha indagato sulle violazioni dei diritti umani nel suo paese d'origine e ad Haiti, in Ruanda e ne Balcani. Ha iniziato con i nomi di 27 giovani della Mauritania di cui le famiglie avevano riferito la scomparsa all'incirca nell'aprile del 2018 alla Croce Rossa. È così che si è trovato nel maggio di quest'anno nel villaggio di Melga lungo il letto essiccato del fiume Senegal, armato di tamponi per prelevare campioni di DNA. "Non puoi semplicemente raccontare loro una storia e non puoi ingannarli. Non sei lì per portare loro le spoglie del parente o dare loro un risarcimento", racconta Baraybar.
Ai 27 nomi se ne sono aggiunti altri 40 in Mauritania per cercare di corrispondere al numero dei campioni di DNA sequenziati da Cattaneo in Italia. Con le informazioni che aveva raccolto, Baraybar è stato in grado di tracciare una mappa delle connessioni tra i giovani partiti verso nord in cerca di una vita migliore. Ha scoperto i nomi di parenti, amici, conoscenti e persino trafficanti del Sahel mentre cercava di definire un algoritmo che gli consentisse di capire dove vivevano le le vittime - e chi poteva essere su quella barca. Ciò lo ha portato al suo ultimo viaggio in Senegal, dove ha trovato dettagli cruciali su come sia stato riempito il barcone. Tre delle file da 100 migranti ciascuna che erano in attesa sulla spiaggia non sono salite, perché all'ultimo mometo è arrivato un camion che trasportava circa 200 migranti provenienti dall'Africa orientale e che avevano pagato un extra per salire a bordo per primi.
"Le famiglie contano e non sapere uccide," dice Baraybar che ora sa che da qualche parte nell'Africa orientale ci sono famiglie di decine di uomini scomparsi nel 2015 che si interrogano sul destino toccato ai propri cari. Una di loro è Mariama Konte che conosce molto bene il prezzo che le famiglie pagano quando i propri capire scompaiono dopo essere partiti per migrare. Suo marito Abdrahamane scomparve insieme ad altri sei giovani del villaggio di Dongue proprio nell'aprile del 2015. All'epoca lei aveva 12 anni e suo marito 21. Poche settimane fa, la famiglia ha sacrificato una pecora e lei ha indossato un velo giallo limone che è il segno di riconoscimento delle vedove. Indosserà gli stessi vestiti per quattro mesi e 10 giorni. Quindi, per tradizione, quasi certamente sposerà una dei fratelli di suo marito. Anche ora, non può assolutamente accettare che suo marito sia morto. "Ogni notte prego per lui, prego Dio che trovi mio marito", dice. "Trovare un altro marito non è difficile ma trovarne uno come lui difficile."
Il peschereccio è ancora lì con i buchi sui lati da dove sono stati estratti i corpi. Il governo italiano non ha finanziato il piano di Cattaneo per trasferirlo a Milano. Nel 2018, il numero di migranti che arrivano illegalmente in Europa è destinato a raggiungere il suo livello più basso in cinque anni e il numero di morti è ben al di sotto dei livelli raggiunti quando l'IOM ha iniziato a monitorare. Il ministro dell'Interno Salvini, a capo dell'ufficio delle persona scomparse, rivendica le politiche del governo contro le ONG e i salvataggi in mare attribuendo loro un valore di dissuasione che sarebbe all'origine della diminuzione dei morti: "Non c'è bisogno di uno scienziato per capire che meno persone partono emeno persone muoiono ", ha dichiarato all'Associated Press con un'alzata di spalle. Baraybar e Cattaneo d'altra parte affermano di essere vicini alla loro prima identificazione: un unico nome dei quasi 1.100 morti in quel solo naufragio - in un anno che vide almeno 211 imbarcazioni affondare nel Mediterraneo: "Cosa puoi restituire a queste persone che hanno perso tutto?" Solo i nomi di chi è scomparso.