Papa Francesco in Marocco: incontro interreligioso tra la Croce e la Mezza Luna
di Roberto Montoya
Tutto pronto per il viaggio pastorale di Papa Francesco in Marocco, il secondo del 2019 in Nord-Africa. Una nuova sfida per il Capo della chiesa Universale, che sarà impegnato per due giorni (30 e 31 marzo) nel dialogo interreligioso con i Capi della Mezza Luna, in un paese a maggioranza musulmana, dove c’è libertà di culto per gli stranieri, ma non la conversione per i marocchini. L’arrivo di Francesco avviene in una data storica per entrambe le religioni, la celebrazione per gli 800 anni dell’incontro tra san Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al Kâmil e gli 800 anni della presenza francescana in Marocco (1219-2019).
Il primo viaggio in Medio Oriente era stato compiuto dal suo predecessore, San Giovanni Paolo II, 34 anni fa, che si era fatto promotore del dialogo, con un accostamento amichevole e spirituale ai credenti dell’altra religione, un altro tassello che ha contribuito alla pace nel mondo. Un’opportunità unica e necessaria che mette in risalto “… ciò che ci unisce, più di quanto ci divide”.
Il Vescovo di Roma, la cui prerogativa sin dall’inizio del suo pontificato è quella di “costruire ponti”, punta ad un Cristianesimo operativo e dialogante, fraterno e di amore, di fiducia e di preghiera reciproca tra i credenti delle diverse religioni, un cammino di fratellanza e al servizio dei più vulnerabili, i migranti. Un simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud e tra tutti coloro che credono che Dio ci abbia creati per conoscerci, per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano. Insomma una chiesa aperta al mondo che unisce tutti i popoli e va oltre i confini delle nazioni con spirito di «Carità nella Verità».
Francesco inoltre incontrerà i 35mila cristiani, soprattutto giovani, stranieri, di cento nazionalità diverse, motivo di orgoglio per i cristiani stessi e per il paese che li ospita. Infatti coloro che mantengono “viva” la chiesa cristiana, in un paese di circa 36 milioni di musulmani, provengono dall’Africa Sub-Sariana; molti di loro arrivano in Marocco per motivi di studio, lavoro, con lo sguardo rivolto alle acque del Mediterraneo, che li porterebbe verso la ricca Europa.
In Marocco ci sono 50 chiese cattoliche, tra cui la cattedrale di San Pietro a Rabat e di “Nostra Signora dell’Assunzione” a Tangeri, dove l'attività pastorale è intensa; sono molti i marocchini che scoprono la solidarietà dei cristiani, che però ancora non possono insegnare religione, perché ritenuto un atto di proselitismo. Le chiese vengono considerate luogo di culto, dove esiste un solo unico Dio, perciò non ci sono problemi di convivenza. I cristiani in Marocco scoprono così un Islam accogliente, tollerante verso le altre religioni.
Ogni anno sono più di 11mila i migranti africani accolti e protetti dalla Caritas e dalla Chiesa in Marocco, un punto di riferimento, una mano amica che offre aiuto ai bisognosi. Una Chiesa cattolica, multilingue, che diffonde i valori della giustizia, della solidarietà e della riconciliazione. «Non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri. Per questo è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’Islam”, sottolineava Francesco all’inizio del suo pontificato. Una Caritas quindi che lavora insieme ai musulmani sviluppando un senso di umanità, visitando gli immigrati in carcere, i clandestini vittime di violenze, e i profughi di guerra. Persone povere, madre single oggetto di abusi sessuali, rifiutate dai loro familiari.
Il dialogo interreligioso tra la Croce e la mezza Luna si è realizzato negli ultimi secoli grazie alla paziente attività di tanti tessitori di entrambi i fronti. Un percorso a zig zag che s’intreccia con la storia delle «guerre di religione», dalle conquiste dell’Islam alle crociate, fino alle guerre moderne e agli attentati terroristici. “Nessuno di noi – ricorda il Papa nel libro Noi fratelli - ha la sfera di cristallo per sapere come andranno le cose. Ma è certo che davanti a noi stanno l’acqua e il fuoco- come direbbe il Siracide 15,16 – e spetta a noi continuamente scegliere “dove tendere la mano”.
Abbiamo incontrato Stefano Girotti Zirotti, giornalista, uno degli autori del libro: “Noi fratelli”, che ci racconta un progetto per la costruzione di ponti tra Islam e Cristianesimo, basato sulla fratellanza. Un traguardo difficile da raggiungere, ma fortissimamente voluto da tutti coloro che lottano contro gli estremismi e i fantasmi e che si sono schierati contro la pace e l’amore dicendo con forza: “Mai più guerre nel nome della religione”
Papa Francesco perché ha bisogno di comunicare con il mondo musulmano?
Non è solo Papa Francesco ad aver bisogno di comunicare, è l’umanità intera che ha bisogno di questo scambio di interrelazione, di conoscenza, di arricchimento tra cultura e fede diverse. Lui individua e rappresenta come padre della chiesa cattolica un bisogno collettivo basato sul fatto che i confini non esistono più, a livello di distanze, tempo e operatività. Perciò, questo scambio di conoscenza e il senso di responsabilità ha bisogno di qualcuno che con molta umiltà, autorevolezza e forza, esprima questa esigenza collettiva. Tutto questo serve per migliore l’umanità, portando come dice Francesco, verso la luce e non verso l’oscurità profonda.
A che punto è il dialogo tra Cristianesimo e Islam?
Il dialogo è sempre esistito, come documenta la storia, e già in passato c’è stato un avvicinamento tra vescovi e califfi. Maometto fu educato ed istruito da un monaco cattolico, Padre Sergius e durante le prime fasi di espansione dell’Islam si mantenne il dialogo con i cristiani e anche con gli ebrei. Tuttavia, ci sono state anche persone, gruppi che non hanno voluto il dialogo, strumentalizzando il Corano, per impedire che questo avvenisse. Il dialogo non esiste soltanto perché sono due religioni monoteiste, ma il ragionamento è ancora più profondo: è per un bisogno interiore dell’uomo di colmare un vuoto in se stesso, e per questo si rivolge a Dio. Cristiani e musulmani riconoscono entrambi Dio come l’unico creatore dell’umanità, della natura, del rispetto nell’armonia del creato. E’ questo che ci unisce e che ci aiuta ad avvicinarci a Dio. L’apertura ecumenica viene dal Concilio Vaticano II. Papa Francesco, incentiva e intensifica ciò che già è stato deciso. La carta “fraternità Umana” firmata ad Abu Dhabi un mese fa, detta dei principi basilari, delle raccomandazioni ed esortazioni per vivere un mondo migliore che a volte incontrano approvazione, a volte resistenza. Ma è parte del percorso.
Sentiamo molto attraverso i media le persecuzioni dei Cristiani nei paesi islamici. Cosa ne pensi?
Oggi ne siamo più a conoscenza, forse perché c’è più comunicazione. Molti, però, non vogliono la pace: c’è una matrice che ostacola il cammino del dialogo, strumentalizza e tende ad infuocare le anime. Quindi non è tanto il tema religioso a far scatenare le persecuzioni dei cristiani, ma è la paura del dialogo, di intraprendere il cammino di pace, fratellanza, di scambio di conoscenza. Tutto questo può disturbare chi ha certi interessi, in certe zone, e che vorrebbe che non cambiasse nulla. Chi vuole il buio, il torbido? Sicuramente, non chi vuole la pace.
Cosa mette paura a noi italiani dell’immigrazione di origine musulmana?
40 anni fa a Roma, gli stranieri lavoravano in sedi diplomatiche, organismi internazionali, erano studiosi e studenti nelle nostre università e tutto andava bene, non c’era la minaccia dell’uomo “nero”. Io vengo dal Nord Italia, e i miei genitori in campagna non si ponevano minimamente questo problema. Oggi l’Italia è cambiata; tanti immigrati dal Nord-Africa sono stati delusi perché hanno trovato un paese molto diverso da quanto veniva raccontato. Molti sono caduti nelle mani dei loro aguzzini. Da emiliano, penso che non si debba pensare che tutto quello che sia diverso sia pericoloso. Durante la campagna politica, l’immigrazione soprattutto musulmana è motivo di strumentalizzazione. Il Papa ha detto che il problema dell’immigrazione è un problema internazionale, e va gestito con un rimedio duraturo. Ora bisogna vedere se siamo all’altezza, perché se buttiamo questa gente in mezzo la strada, il meccanismo di accoglienza ci si ritorcerà contro.