Cronaca

'Ndrangheta, arrestato Antonino Pesce

Ricercato da un anno, è stato catturato in un appartamento a Rosarno. Malgrado sia solo 26enne è considerato il capo di fatto dell'omonima cosca

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Giovane ma pericoloso. Tanto sfrontato e assetato di potere da osare contrapporsi ai "Testuni", più blasonato ramo della famiglia Pesce, per pretendere la propria quota di affari, dunque da rintracciare al più presto perché candidato a scalare in fretta e senza andare troppo per il sottile le gerarchie criminali. Così era considerato Antonino Pesce, reggente appena ventiseienne dell'omonimo clan e primula rossa della sua famiglia, arrestato questa notte dalla Squadra mobile di Reggio Calabria.

In fuga da un anno, Pesce - figlio di quel Vincenzo "U pacciu" condannato a 16 anni per associazione mafiosa e a cinque per scambio elettorale politico mafioso, per questo da tempo detenuto al 41bis - si nascondeva nell'appartamento di lontani parenti, in un anonimo palazzotto di un blocco di case popolari alla periferia di Rosarno. Come ogni latitante di peso e con un ruolo operativo, non si era allontanato dal suo territorio. L'omertà che il nome del suo casato evoca, lo faceva sentire sicuro, certo che nessuno ne avrebbe rivelato la presenza. Ed in effetti a tradirlo non sono stati gli abitanti della zona, ma una fortunata telecamera.

Individuato nel corso dell'indagine che ha portato allo smantellamento della rete di fiancheggiatori della latitanza del capo strategico del clan, Marcello Pesce "U Ballerinu", il giovane reggente era riuscito a sfuggire alla cattura. Ma gli investigatori, con il coordinamento della procura di Reggio Calabria, diretta dal vicario Gaetano Paci, non hanno smesso di stargli con il fiato sul collo. Secondo quanto emerso nell'inchiesta, Antonino Pesce era un elemento rampante del clan, assetato di potere e affari, già in grado di dialogare a tu per tu con i capi delle costole più importanti del casato mafioso a cui appartiene.

Rosarno, arrestato il boss della 'ndrangheta Antonino Pesce


A ventisei anni, insieme al fratello Savino, solo di poco più grande di lui, ha preteso e ottenuto che anche le sue aziende, tutte intestate a prestanome, entrassero nel trasporto su gomma degli agrumi. Un business importante, che viaggia sulle ruote di centinaia di tir che dalla Piana di Gioia Tauro arrivano non solo in Nord Italia, ma anche in Europa, e spesso servono anche per coprire trasporti illeciti di armi o droga. Un affare - spiegano fonti investigative - "non esattamente da ragazzini".

E non da ragazzino, ma da giovane boss è stata la sua reazione al momento dell'arresto. Quando gli uomini della Mobile hanno fatto irruzione nella stanza in cui dormiva, non ha tentato di fuggire o celare la propria identità. Sorpreso ma rassegnato, si è limitato a dire: "Sono io" e si è fatto ammanettare. Poi si è chiuso in un silenzio di tomba. Durante la perquisizione seguita al  suo arresto non sono state ritrovate armi o droga, ma gli uomini della Mobile hanno rinvenuto carte e documenti, adesso al vaglio dei magistrati, e una cospicua riserva di denaro. "Stiamo ancora lavorando per ricostruire con attenzione il suo attuale ruolo, ma di certo -  ha detto il capo della Squadra Mobile, Francesco Rattà -  questa cattura libera Rosarno di una presenza criminale di peso".