Cronaca

Carpisa e lo spot che fa infuriare le mamme lavoratrici

Per la Festa della Mamma, l'azienda ha voluto omaggiare le madri che lavorano e la loro fatica con i figli. Ma lo spot è un boomerang. L'accusa: fanno leva sui sensi di colpa
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Le dipendenti vengono convocate da un consulente del lavoro, che lapidariamente comunica a ognuna di loro: "Lei non fa bene il suo mestiere, a quanto ci hanno riferito. Ci potrebbero essere conseguenze anche gravi". Sono tutte donne, lavorano duramente e bene, e la loro reazione va dallo stupore alla rabbia, fino alla indignata richiesta: "Mi dica chi le ha riferito questo". 
 
È l'inizio dello spot promozionale di Carpisa, nota azienda di borse, per la festa della mamma. Alla fine viene svelato il soggetto delle lamentele: bambine e bambini, figlie e figli, che si vedono sottratta la mamma dall'azienda. E fra una richiesta e un rimprovero, non all'azienda, alla mamma che nel frattempo è scoppiata in lacrime, elencano i loro desideri. Di trovarla all'uscita da scuola, di averla a casa per giocare, bella e curata e disponibile.

Carpisa, lo spot controverso: il video dedicato alle mamme indigna i social

"Il messaggio che trasmette è che le donne che lavorano devono sentire di fare una cosa sbagliata e che sarebbe meglio che stessero a casa" è il duro incipit di una lettera, che verrà inviata il prossimo giovedì 24 maggio chiedendo la cancellazione dello spot e che sta raccogliendo centinaia di adesioni. A scriverla Annamaria Arlotta, animatrice sempre in Facebook di un gruppo dall'esplicito nome "La pubblicità sessista offende tutti".

"Il nostro video ha smosso tanti cuori", ha scritto l'azienda nel post, rigraziando "tutte le mamme, che lo hanno apprezzato o che lo hanno criticato". Repubblica ha contattato Carpisa, che non intende commentare. L'anno scorso, la stessa compagnia era finita nella bufera per un'altra iniziativa promozionale che metteva in palio uno stage in azienda.
Forse l'azienda voleva mettere l'accento sulla fatica di essere una mamma che lavora, fatto sta che ha finito per essere messa sotto accusa per aver fatto leva su un senso di colpa che in tante non vorrebbero avere, e che ritengono ingiusto. I commenti ormai sono migliaia, tra chi racconta la propria fatica quotidiana e l'impossibilità di avere ritmi più umani e servizi più accessibili e chi lamenta l'assenza dei padri, nello spot prima ancora che nella vita, come se crescere figli fosse una faccenda solamente femminile, e solo le donne dovessero sentire la colpa di non poter avere più tempo per loro.
 
"Volevate colpire il nostro cuore, siete riusciti a darci sui nervi", e sicuramente quello della conciliazione fra lavoro e famiglia è un nervo scoperto per molte donne. "Che magari lavorano nei negozi Carpisa anche la domenica" è l'inevitabile corollario. L'uniformità degli argomenti mostra quanto questo nervo scoperto sia trasversale per censo, età e geografia: a guardare la sollevazione si direbbe un'emergenza. E che un'azienda abbia confezionato uno spot promozionale su una rivendicazione sociale, facendo leva su un disagio, si fa fatica a digerirlo. Che questo sia successo nei tempi del #MeToo, delle donne che globalmente reclamano rispetto, è vissuto come una provocazione.
 
Molte le critiche anche per aver coinvolto i bambini. Nello spot, confezionato dalla produzione Casa Surace come una candid camera, le donne sono vere dipendenti dell'azienda, e quelli sono davvero i loro figli. Che forse a casa hanno anche già espresso le loro lamentele, del resto sono bambini e non desiderano altro che stare con mamma e papà. Nello spot prendono posto nella poltrona del capo, alla scrivania del consulente del lavoro che poco prima riportava le loro lamentele. La donna lavoratrice, ora in lacrime, resta seduta al suo posto di dipendente ad ascoltare i rimbrotti, a sentirsi dire che quello che fa non è abbastanza.
 
Quello che le mamme spiegano fra un'indignazione e l'altra, e probabilmente anche tra le mura domestiche, è che il loro lavoro è realizzazione personale, autonomia, ma anche la possibilità di dare un futuro ai loro figli e alle loro figlie. Che fare questo non è sempre facile, e perciò si sarebbero aspettate sostegno, e non una messa sotto accusa. Perché così quello spot è stato percepito: un rimprovero che fa leva sui loro ingiusti ma inevitabili sensi di colpa e che rischia così di azzerare ogni dialogo intimamente familiare che mira a fare dei bambini di oggi degli adulti di domani migliori di noi.