Cultura

Minacce, agguati, sangue: quando i giornalisti sono nel mirino del crimine

Il XII Festival internazionale del giornalismo si apre a Perugia con i cronisti sotto attacco. Succede in tanti Paesi del mondo, Russia, Messico e anche in Italia

3 minuti di lettura
PERUGIA - Si ricomincia senza troppi sorrisi. Con i corpi dei giornalisti stesi a terra, così lontani dall'immagine che proprio dei giornalisti ha il pubblico italiano, spesso seduti dentro uno studio televisivo, a gambe accavallate. Invece nel mondo reale succede che a scrivere coraggiosamente del malaffare si finisce male. Succede in tanti Paesi del mondo, Russia, Messico e, a ben vedere, anche in Italia. 

Il XII Festival internazionale del giornalismo apre con i cronisti sotto attacco. E con l'eco sinistra e dolorosa della poltrona lasciata vuota da Paolo Borrometi, nome ai più sconosciuto, direttore del giornale online "La Spia". Uno che con le sue inchieste ha incastrato i mafiosi di Pachino e per questo vive da quattro anni sotto scorta. "Un morticeddu" che cammina, stando alle intercettazioni appena diffuse dalla polizia, perché "un morticeddu ogni tanto fa bene", come l'aspirina. Questo dicevano gli sgherri del clan Cappello, i Vizzini, intenzionati a scatenare l'inferno, lo "iofocu" (i fuochi d'artificio), per fare una mattanza di tutti coloro che si intromettono nei loro affari. Così Paolo Borrometi ha disertato l'incontro. O forse la scorta gli ha consigliato prudenza. Il pubblico di Perugia lo ha comunque applaudito a lungo, forse ancora di più. 

Non mancava la nostra Federica Angeli, di recente omaggiata da due proiettili anonimi. Anche lei sotto scorta, anche lei individuata come nemica numero uno del clan Spada. Federica ancora ricorda la sparatoria in strada, con le persone affacciate per vedere cosa accadeva. E quando il boss si mise a urlare "cosa avete da guardare, tornate dentro!", il rumore all'unisono di tutte le serrande che si chiudevano. Tutte tranne la sua. Una tombola mancata per il clan Spada, soprattutto un affronto troppo grosso per quella "mafia umorale" di Ostia, che la Angeli colloca nella casella definita da Gratteri "più vicina alla camorra, all'esibizione smaccata, all'ostentazione del potere", la mafia a cui piace decidere se darti la mano o impugnare il manganello. "Quei due proiettili - sospetta la Angeli - sono un'esibizione di potere del clan Spada per dimostrare che, nonostante le condanne ricevute, sono ancora in grado di colpire". 
 
Cronisti in Sudamerica. "Fare giornalismo d'inchiesta in Messico significa scrivere con una mano nel c...". Sono tre di numero i puntini di sospensione, tanto per essere chiari. La frase è di Javier Valdez, pluripremiato giornalista scrittore, fondatore del Rio Doce, il settimanale che ha squadernato tutti gli affari del crimine organizzato in Sinaloa, altrimenti detta la terra dei cronisti morti. Dal Duemila, in tutto il Messico, ne sono morti 115, ripartiti equamente per ogni governo che si è alternato a capo di uno degli Stati più ricchi del mondo. E così, neanche un anno fa, la mitragliata è toccata anche a Valdez, a poca distanza dalla sua redazione. A Perugia lo ricorda Cynthia Rodriguez, temeraria cronista free lance, che gioca con la vita ogni volta mette mano alla tastiera. Di recente, ricorda, l'Asociacion de Peridistas Europeos, benemerita congregazione di cronisti iberici e non solo, ha chiesto come poter sostenere i giovani colleghi messicani, così esposti al pericolo di ritorsioni. Se n'é alzato uno un po' più giovane degli altri, chiedendo una pistola. Una richiesta considerata ingenua e un po' ridicola, quando si ha a che fare con un crimine di tale portataIl ragazzo però ha spiegato che l'arma serviva a se stesso: pochi mesi prima un suo collega era stato sequestrato ma non l'avevano ammazzato subito: prima gli avevano tolto la pelle. "Nel caso venga catturato - ha detto il giovane - preferirei scegliere io come morire". Racconti che tolgono il fiato e che dovrebbero mettere tutti in guardia, perché dove c'è miseria il crimine dilaga e nessuno, di questi tempi, può stare tranquillo. 
 
Il giro del mondo in 80 haters. Sono molti i Paesi inguaiati con l'odio razziale. Ieri se ne è fatto un breve elenco grazie a Giovanni Ziccardi, dell'Università degli Studi di Milano. Si è partiti dall'Ungheria, tenuta in questi giorni sotto controllo dalle Nazioni Unite. Oltre alle tante leggi liberticide, ultimamente se ne sono aggiunte alcune che facilitano in modo abnorme le espulsioni dei richiedenti asilo. In Francia Marine Le Pen è stata indagata per avere pubblicato foto di esecuzioni Isis, contravvenendo al reato di "diffusione di immagini violente". Un crimine che può costare una sanzione di 75 mila euro e tre anni di reclusione. In Polonia, l'Holocaust law sembra usare la scusa dell'hate speach per criminalizzare le minoranze, anziché tutelarle, come nello spirito originario della legge. Da osservare con attenzione il caso del Sudafrica, dove Vini Momberg è stata la prima persona condannata e incarcerata per "hate speach interpersonale", avendo aggredito un poliziotto con epiteti razzisti. In Germania, infine, sembra avviata al ridimensionamento la legge dello scorso anno, quella che richiede alle social media company di rimuovere rapidamente l'hate speach dai loro siti e piattaforme. Il nuovo governo che si sta formando ha annunciato di volerla emendare per aiutare gli utenti del web a far sì che il materiale cancellato per sbaglio sia di nuovo rimesso online. Per contro in Norvegia è reato minacciare o insultare qualcuno, incitare odio o persecuzione o disprezzo a causa di colore della pelle o origine nazionale o etnica; vita religiosa o atteggiamenti di vita; omosessualità, stile di vita, orientamento. Infine a Giacarta, in Indonesia, si combattono le fake news e le espressioni di odio con la contronarrativa, uno dei tanti tentativi per far rispettare il principio di base della Nazione "uniti nella diversità". 
 
La battaglia di Francesco. In serata Gianluigi Nuzzi ha parlato dei complotti intestini alla Chiesa per ostacolare la rivoluzione di papa Francesco. A ben vedere anche in questo caso gli haters fanno il loro gioco. Come molti arrabbiati, nutriti quotidianamente dai palinsesti di Retequattro, hanno finito per rimpolpare di voti la Lega, altrettanti cattolici integralisti - e non sono certo pochi -, impossibilitati a contestare pubblicamente, debbono essersi "vendicati" delle politiche francescane barrando la croce sul partito di Salvini