Economia

Pensioni, il Pd contro l'aumento a 67 anni. Consulta: "Giusto il decreto sulla rivalutazione degli assegni"

Martina chiede di rinviare lo scatto automatico legato alla maggiore speranza di vita. In serata arriva anche la presa di posizione di Renzi che si "augura soluzioni alternative" Intanto la Corte disinnesca una mina da 30 miliardi sui conti pubblici: via libera al meccanismo Poletti che aveva restituito solo in parte gli adeguamenti degli assegni all'inflazione, congelati dalla legge Fornero

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ROMA - Fuoco di sbarramento dal Pd sull'aumento dell'età pensionabile a 67 anni, a decorrere dal 2019 e a seguito delle nuove stime Istat sulla speranza di vita. Un fronte caldo che si somma alla notizia proveniente dalla Consulta, che ha definito legittimo dal punto di visa costituzionale il bonus Poletti sulle perequazioni pensionistiche. La Corte ha così respinto i ricorsi che accusavano la norma e stabilito che realizza "un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica".

LE REAZIONI ALL'AUTOMATISMO
Ad accendere le polveri contro l'innalzamento dell'età per il ritiro dal lavoro è il vice segretario del Pd, e ministro dell'Agricoltura, Maurizio Martina che attacca: "Non tutti i lavori sono uguali. E non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita per le mansioni che fanno. Le norme volute dal governo Berlusconi e poi modificate dal governo Monti sull'aumento automatico dell'età pensionabile vanno riviste e per questo serve un rinvio dell'entrata in vigore del meccanismo. I tempi per una discussione parlamentare a partire dalle commissioni preposte ci sono tutti ed io credo sia giusto prendersi tutto lo spazio utile per aggiornare questa decisione anche alla luce di nuove valutazioni". La sua voce non resta isolata: dal fronte renziano Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria del Pd, ne ripercorre la linea: "Giusto ripensare le regole, i tempi ci sono". Una nota, anche Gianni Cuperlo si iscrive alla lista di coloro che chiedono lo stop allo scatto.

In tarda serata arriva poi la presa di posizione di Matteo Renzi a Porta a Porta.  "Spero - afferma il segretario dem - si possa trovare una soluzione per incrociare le esigenze legittime di chi ad esempio fa un lavoro usurante. Se si trovano soluzioni alternative, perché mandare in pensione la gente un anno dopo? Bisogna trovare un giusto equilibrio e usare l'Ape per quello". "Verifichiamo come funziona l'Ape, che il primo anno non è andato benissimo, e verifichiamo l'aspettativa di vita, anziché spargere un messaggio di terrore per tutti i lavoratori. E' buon senso, invece è sempre polemica costante...". "Anzichè decidere il 31 dicembre aspettiamo 6 mesi in più magari si può trovare una soluzione alternativa".  "La nostra - conclude Renzi - è una proposta di buon senso, sono d'accordo quasi tutti, e Padoan non deve sborsare un centesimo. Spero che si possano incrociare le esigenze legittime di chi fa un lavoro usurante".

Indossa invece i panni del pompiere il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, per il quale ad oggi "c'è una legge e la legge si applica". Ma visto che "la legge andrà in applicazione all'inizio del 2019, c'è oltre un anno di tempo: se si vuole discutere e confrontarsi sul merito di questo tema, il tempo c'è".

L'ATTESA PER LA CONSULTA
Il comunicato della Corte Costituzionale che ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni è stato accolto con un sospiro di sollievo da governo, ministero dell'Economia. Ma ad attendere il verdetto erano anche giudici, sindacati e lavoratori: tutti a guardare al palazzo della Corte costituzionale, sul cui tavolo c'era un dossier dal potenziale enorme d'impatto sui conti pubblici, fino a 30 miliardi di euro.

Tutto nasceva dalla norma della Legge Fornero che aveva bloccato - per il 2012 e il 2013 - l'adeguamento automatico all'inflazione delle pensioni con un importo mensile di tre volte superiore al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi). La norma era stata bocciata dalla stessa Corte costituzione, proprio nell'aprile del 2015.

Per questo il ministro del Lavoro Poletti, nella stagione del governo Renzi, ha varato un decreto. Il decreto ha stabilito una restituzione della rivalutazione, ma non totale per tutti. Il 100% è stato previsto solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; a quelle da 3 a 4 volte è stato concesso il 40%, che scende al 20% per gli assegni superiori di 4-5 volte il minimo, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Chi percepisce una pensione superiore a 6 volte il minimo Inps è stato escluso dalla restituzione.    

Quattordici tribunali italiani e una sezione della Corte dei conti hanno portato il decreto Poletti davanti alla Corte costituzionale - in un giudizio di legittimità - accusandolo di violare i principi di proporzionalità e adeguatezza del trattamento previdenziale. La pensione, come retribuzione differita, è materia che la Costituzione affronta negli articoli 36 e 38 della Costituzione. Alcuni tribunali lamentano anche la violazione del principio di ragionevolezza.
Elsa Fornero 
Altri tribunali, ancora, hanno messo sotto accusa la legge di Stabilità del 2014 che:
1) esclude anche per l'anno 2014 l'adeguamento delle pensioni di importo superiore a 6 volte il valore minimo;
2) disciplina il meccanismo di blocco della rivalutazione fino al 2016 (poi prorogato sino al 2018 dalla legge di Stabilità 2016).
 
L'avvocato Riccardo Troiano - che rappresenta le istituzioni ricorrenti insieme ad altri legali - ha sostenuto che il caso interessava "sei milioni di pensionati". "La Corte Costituzionale - aggiunge l'avvocato Corrado Scivoletto - ha già stabilito che un decreto sulle pensioni dovrebbe arrivare in casi eccezionali e solo se motivato da una specifica finalità, mentre gli effetti del decreto Poletti si dispiegano nel tempo". Relatrice della causa è stata la giudice costituzionale Silvana Sciarra, che lo era giù stata in quella del 2015. In giudizio sono convenuti sia l'Inps sia la Presidenza del Consiglio dei ministri.