Economia

Brexit, ancora niente accordo. Tusk: "Ci sono progressi". May: "Dobbiamo negoziare"

Si attende il via libera alla prima fase delle trattative: l'intesa si avvicina grazie al compromesso sul confine tra Irlanda del Nord ed Eire, ma serve un supplemento di lavoro

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LONDRA - Il B-day viene rimandato almeno di qualche giorno: l'accordo sulla Brexit ancora non c'è, ma è vicino e entrambe le parti sono "fiduciose" di poterlo raggiungere prima del summit dell'Unione Europea della settimana prossima. L'ultimo ostacolo è il confine irlandese: come mantenerlo "aperto", dopo che il Regno Unito avrà lasciato la Ue.
 
Il compromesso discusso nelle ultime ore sembrava funzionare: dare all'Irlanda del Nord le stesse norme della repubblica d'Irlanda, in modo da non rendere necessari controlli o dogana alla frontiera per merci e persone. Ma Arlene Specter, leader del Dup, il partito unionista protestante nord-irlandese, avverte: "Non accetteremo alcuna forma di divergenza normativa, l'Irlanda del Nord non può avere regole diverse dal resto della Gran Bretagna". E poiché il Dup ha i voti necessari al governo di Theresa May per avere la maggioranza in parlamento, il suo veto all'accordo per ora ha bloccato tutto, altrimenti potrebbe cadere il governo e la premier perderebbe il posto.
 
"Non è stato possibile arrivare a un completo accordo, nonostante i molti progressi che abbiamo compiuto", afferma alle 4 del pomeriggio il presidente della Commissione Europea Jean-Paul Juncker, a conclusione della sua colazione di lavoro con May. "Ma continueremo le consultazioni nei prossimi giorni e sono fiducioso che possiamo giungere a un'intesa sui punti ancora in sospeso prima del summit della Ue della prossima settimana". Parole analoghe dalla premier britannica: "Abbiamo avuto in incontro costruttivo e fatto grandi progressi, ma servono ancora discussioni su un paio di questioni. Anch'io ho fiducia che arriveremo a un accordo prima della fine della settimana".
 
Il negoziato sulla Brexit si articola in due tempi: il "divorzio" ovvero l'uscita del Regno Unito dalla Ue, che verte su diritti dei 3 milioni di cittadini della Ue residenti in Gran Bretagna, obblighi finanziari di Londra verso l'Unione, status del confine fra Irlanda e Irlanda del Nord; e il futuro dei rapporti economici, politici, commerciali e militari fra Londra e Bruxelles. La fase due può cominciare soltanto quando il Consiglio Europeo ha stabilito che è stato fatto "sufficiente progresso" nella fase uno. E' questo l'obiettivo che la premier britannica sperava di portare a casa entro stasera. Non ci è riuscita. Resta da vedere se nei prossimi giorni troverà un compromesso che accontenti la Ue, in particolare il governo di Dublino, senza scontentare gli unionisti nord-irlandesi.
 
Il problema è come mantenere "aperto" il confine irlandese, una volta che l'Irlanda del Nord britannica esce, come il resto del Regno Unito, dalla Ue. In teoria la frontiera deve rimanere invisibile come garanzia del trattato di pace del '98 fra cattolici indipendentisti e protestanti unionisti fedeli a Londra, dopo trent'anni di sanguinosa guerra civile: un trattato di cui la Ue è uno dei firmatari. In pratica non è un'impresa facile. Non solo per le difficoltà tecniche, che pure potrebbero essere risolte, ma soprattutto per le difficoltà politiche: gli unionisti nord-irlandesi non vogliono alcuna misura che faccia sembrare l'Irlanda del Nord di fatto riunificata con la repubblica irlandese.
 
Sullo sfondo ci sono anche le divisioni all'interno del partito conservatore, con l'ala più brexitiana in rivolta per le concessioni che la premier ha fatto sugli altri due punti della trattativa sul divorzio: portando a circa 55 miliardi l'offerta dei contributi britannici al budget dell'Unione e riconoscendo de facto un ruolo alla Corte Europea di Giustizia sui diritti dei cittadini europei in Gran Bretagna. Non è chiaro se Theresa May avrà l'autorità e i voti per imporre un accordo del genere, con altre concessioni sulla questione irlandese. Allo stesso tempo, la Ue deve valutare se e come darle una mano, perché dopo di lei potrebbe arrivare a Downing Street un leader ancora più anti-europeo. O una lunga stagione di caos, con elezioni anticipate e magari l'ascesa al potere del laburista Jeremy Corbyn. In tal caso non è escluso che l'intera operazione Brexit potrebbe essere rimessa in discussione: l'ex-premier laburista Tony Blair ha scelto questo momento per affermare che dovrebbe esserci un "secondo referendum" sull'accordo finale e che lui sta lavorando per raggiungere questo scopo, capovolgendo il risultato del primo.
 
Insomma, il negoziato entra in dirittura d'arrivo in un clima da thriller in cui c'è in gioco tutto, dalla Brexit alla poltrona di primo ministro britannico. E davanti alla prospettiva di accordi speciali per l'Irlanda del Nord, anche altre regioni e città che hanno votato contro la Brexit nel referendum ne chiedono di simili, dalla Scozia a Londra. Per dividersi dall'Europa, il Regno Unito rischia di andare in pezzi internamente.