Economia

Camilla Borghese, la principessa in camice bianco a capo di Ibi farmaceutici

Nobile, dei principi di Nettuno, è laureata in chimica e guida un’azienda fondata nel 1918 dal bisnonno Giovanni Lorenzini, Patologo medico. Da tre generazioni il timone è stato preso dalle donne della famiglia, prima la nonna Loredana, poi la madre Livia. E la figlia è già in azienda

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Una principessa in camice bianco, laureata in chimica e tecnologia farmaceutica, al vertice di un'azienda centenaria che vanta il primato di aver studiato e fatto conoscere il valore biologico delle vitamine come prevenzione delle malattie. Camilla Borghese, proprietaria e presidente dell'Ibi farmaceutici, Istituto biochimico italiano, è la pronipote di Giovanni Lorenzini, professore universitario di Patologia medica, citato per i suoi meriti scientifici nell'Enciclopedia Treccani, che fondò l'azienda esattamente cento anni fa, nel 1918. Dalla sua morte, nel 1946 per un incidente automobilistico, le redini dell'Ibi in 70 anni sono state in mano a tre donne.

"Prima c'è stata mia nonna Loredana, sua figlia, che non era laureata ma aveva avuto questo padre così forte che le ha trasmesso l'orgoglio di portare avanti l'impresa, poi mia madre Livia, ora io. Tutte e tre figlie uniche. Mi è rimasto un patrimonio di scienza applicata, la profonda concezione che non esiste niente nel mondo biofarmaceutico che possa dare un prodotto valido e una efficace terapia senza uno studio approfondito". Camilla Borghese, romana, 56 anni, nobili origini (la famiglia è dei principi di Nettuno), ha quattro figlie dai 20 ai 30 anni. Francesca, stessa facoltà universitaria della madre alla Sapienza, è già in azienda, "è molto più preparata di me, c'è stata tutta un'evoluzione, la più piccola invece studia energie rinnovabili a Ingegneria".

Era un periodo storico particolare per l'Italia, l'uscita della prima guerra mondiale e nel paese c'era fame di tutto, non solo di cibo, "il motto del bisnonno era 'fare per dare' che corrispondeva alle necessità di quel momento". Lorenzini voleva che la ricerca farmaceutica conservasse tutti i valori di verità e studio, fosse veramente scienza applicata e questo ha guidato la sua attività imprenditoriale. Ebbe grandissimo successo, indirizzò l'Istituto allo studio e alla realizzazione dei metodi di estrazione, dosaggio e stabilizzazione delle vitamine. Fu tra i primi in Italia ad avviare ricerche a livello sperimentale in un settore ancora quasi inesplorato, ebbe il merito di introdurre in clinica i concetti di patogenesi, terapia e farmacologia in campo vitaminologico. Aveva creato strutture produttive all'estero: in Svizzera, in Spagna, negli Usa, in Brasile dove andava spesso per restare anche lunghi periodi, e una rete di rappresentanze dal Messico all'India. Tra le due guerre mondiali ha garantito il fabbisogno nazionale di acido ascorbico, tiamina e insulina.

"La sua era una ricerca all'avanguardia, le vitamine le ha identificate, ne ha studiato l'attività, le ha titolate, ne ha identificato la qualità e ha contribuito al loro utilizzo e alla gestione del malato. Realizzò i primi impianti italiani per la sintesi della vitamina C e per la produzione dell'insulina".

La mission di Camilla Borghese è proseguire sul cammino tracciato dal bisnonno, con tutte le innovazioni applicate alle necessità di oggi. "Penso che l'azienda abbia ancora tantissime opportunità di sviluppo e possa dare un contributo molto valido al benessere collettivo, per il suo ruolo di trait d'union a livello industriale tra ricerca di base, ricerca scientifica e medico e paziente. Abbiamo scavalcato il secolo e le esigenze terapeutiche sono molto più sfidanti e lo è anche la qualità della nostra produzione industry 4.0, per essere quotidianamente all'altezza delle richieste. L'azienda è focalizzata sulla produzione di prodotti sterili per iniezione. Siamo presenti negli Stati Uniti e in Europa, con sedi e filiali in Inghilterra e Germania".

Dalla chiusura dell'impianto milanese di via Ripamonti, avvenuta nel 2003, la produzione è tutta concentrata nel quartier generale dell'Ibi, ad Aprilia, lo stabilimento aperto nel 1975 con i contributi della Cassa del Mezzogiorno. Le donne rappresentano il 44 per cento dei 330 addetti, "sono sempre più brave e più preparate", sostiene l'imprenditrice, e oltre il 50 per cento di loro opera nel settore Ricerca e sviluppo, uno snodo centrale dell'organizzazione, integrata verticalmente, dalla produzione e distribuzione fino all'ospedale e al letto del malato. "Teniamo sotto controllo tutto il processo produttivo. I nostri dirigenti svolgono un ruolo importantissimo, siamo molto a contatto gli uni con gli altri e cerchiamo di condividere gli obiettivi: con un mondo che gira veloce, serve una squadra coesa".

Con 300 milioni di euro di fatturato 2017, Ibi riserva alle esportazioni il 75 per cento della propria produzione, nei mercati di cinque continenti e venti paesi, e di questa quota l'80 per cento è negli Usa. Responsabile delle vendite all'estero e amministratore delegato della società è il marito, Jhoannes Khevenhüller, viennese, con il quale l'imprenditrice romana si appresta a festeggiare i trentadue anni di unione. "Mio marito è importantissimo, grazie a lui in questi anni siamo riusciti ad espanderci molto all'estero. L'ho conosciuto a Battipaglia nel 1980, era lì come volontario per aiutare i terremotati e io pure. È stata un'esperienza molto particolare, impegnativa, io sono rimasta una settimana, ero alla distribuzione di viveri e di vestiario, lui forse di più. C'era molto da fare".

Tra le prime dieci aziende italiane per produzione, in particolare antibiotici e prodotti gastroenterologici per la cura del fegato, Ibi guarda a farmaci che nei prossimi anni dovranno curare patologie come l'Alzheimer, malattie neurovegetative o il cancro stesso. "Noi siamo a disposizione per fare la nostra parte scientifica. Oggi si sviluppa l'immunoncologia e possiamo contare su tecniche di ricerca e di mezzi che cento anni fa non c'erano". Ibi fa parte di B-smart, un progetto finanziato dalla Comunità europea finalizzata alla cura dell'Alzheimer che vuole proporre una terapia con un principio attivo, Rna, acido ribonucleico, indirizzato per bloccare la produzione delle proteine che causano patologie degenerative.

"Siamo all'inizio, è una bella sfida, per arrivare al mercato ci vogliono minimo otto, dieci anni, i tempi di sviluppo sono lunghi. Ma è la parte più bella del mio lavoro mettere a disposizione terapie innovative. Quello che oggi stiamo mettendo in pratica non sarebbe possibile se non ci fossero stati tanti studi, brevetti e scoperte fatte nel secolo precedente. Come i codici a barre". Anticipando la normativa europea, che nel febbraio 2019 sarà obbligatoria in Europa e negli Usa lo è già, Ibi si è lanciata nella lotta contro il fenomeno dei farmaci falsi e contraffatti, un mercato esploso negli ultimi anni avvalendosi di avanzate tecnologie per la tracciabilità dei prodotti fino alla distribuzione.

L'impegno dell'imprenditrice va oltre l'azienda. "Faccio parte della 'Centesimus annus pro Pontefice', la fondazione nel Vaticano per diffondere la dottrina sociale nella chiesa". Cerca anche spazi per attività più ludiche. "Venti minuti per andare a nuotare, un'ora di yoga. Noi donne siamo sempre alla ricerca di un equilibrio, dalla mattina alla sera. Mi piace viaggiare, ma bisogna cercare di riposare ogni tanto. Seguire i figli? Penso che si seguono meglio da soli. Di me dicono che non sono flessibile, mentre io mi trovo flessibilissima; mi piacerebbe ridere molto di più ed essere a cuore leggero ma sono sempre attraversata da mille pensieri. Molte famiglie romane, in genere quelle che hanno una storia, si sentono obbligate ad aiutare il prossimo, non è un di più ma una cosa che va fatta e basta, vedo che oggi tutti quelli che possono lo fanno. Mia figlia, quando si trovava a Vienna, ha aiutato gli immigrati a fare un corso di cucina e ad imparare come mantenere l'igiene. Tutte le mie figlie sono così, è una formazione mentale, valori condivisi". Ibi ha bandito un concorso per assegnare tre borse di studio del valore di 10mila euro ciascuna più il biglietto aereo per tornare nel proprio paese a giovani studenti del Camerun laureati presso la facoltà di Farmacia delle università di Camerino, Urbino e Roma Tor Vergata. Dando la possibilità ai giovani farmacisti di ritornare in Camerun e aprire un'attività di farmacia galenica con due obbiettivi: vendere i prodotti che hanno sviluppato e porre le basi per un virtuoso circuito di autosostentamento.