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Populismo economico dove andare a cercare gli anticorpi più efficaci

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<p>Saranno mesi surreali quelli che abbiamo davanti. I partiti si sono messi alle spalle il clima di emergenza che ha accompagnato gli anni delle recessione e fanno ormai a gara a chi spara la promessa più grossa. Nello spettro politico manca una forza che si intesti la battaglia del realismo e della responsabilità. L’unico antidoto al populismo economico può venire dalle istituzioni e dai centri di ricerca, a cui tocca il compito di valutare l’impatto delle politiche pubbliche e spiegare agli elettori le conseguenze delle promesse dei partiti. Le elezioni in Sicilia hanno visto Forza Italia e il Movimento 5 Stelle sfidarsi a colpi di annunci irrealizzabili. Ma le fanfaronate siciliane sono l’antipasto di quello che ci aspetta nei prossimi mesi di campagna elettorale. Il Pd non è da meno dei suoi concorrenti: l’ex premier non perde l’occasione di ripetere che porterà il deficit al 2,9% del Pil, anche se il buon senso imporrebbe di far scendere l’indebitamento in una fase di crescita. Il Pd si è ormai allineato a Forza Italia e ai Cinque Stelle anche sulle pensioni: tutti i principali partiti italiani vogliono bloccare l’aumento dell’età pensionabile previsto dalla riforma Fornero. A cercare di fermare una proposta che farebbe ancora una volta lievitare i costi del nostro sistema pensionistico, scaricando come sempre il problema sui più giovani, sono rimasti solo i ministri tecnici Padoan e Calenda. La politica ha deciso che su questo tema il futuro non conta. In una fase di ripresa nessuno tra i principali partiti sembra interessato a ricordare agli elettori che, in un Paese con il debito al 133% del Pil, di soldi da spendere ce ne sono comunque pochi. Quest’onere va dunque assunto dai tecnici, siano essi indipendenti o parte dell’amministrazione pubblica sperando che vengano ascoltati. Due esempi positivi stanno emergendo. Il primo è l’Osservatorio sui conti pubblici italiani lanciato da Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review e rappresentante dell’Italia al Fmi. Il centro, ospitato dalla Cattolica di Milano, si prefigge di effettuare un fact-checking delle promesse di spesa dei partiti durante la campagna elettorale. È difficile pensare a una persona più adatta di Cottarelli per questo ruolo. La sua sfida sarà quella di non produrre soltanto analisi per gli addetti ai lavori, ma di parlare al grande pubblico, sensibilizzandolo sull’importanza di ridurre il debito. Il secondo è il programma VisitInps avviato dal presidente dell’istituto, Tito Boeri, i cui risultati sono stati presentati due settimane fa. Per la prima volta, l’enorme base dati dell’Inps è stata messa a disposizione di decine di ricercatori, che hanno potuto analizzare in maniera indipendente l’efficiacia di alcune tra le principali politiche pubbliche degli scorsi anni. Lo stesso Boeri, in un lavoro con Pietro Garibaldi, ha mostrato come l’introduzione del contratto a tutele crescenti contenuta nel Jobs Act abbia prodotto un aumento significativo della diffusione dei contratti a tempo indeterminato. Secondo questi risultati, l’idea molto popolare a sinistra che sia stato inutile riformare il mercato del lavoro italiano non sarebbe supportata dai numeri. Un lavoro di Giulia Bovini della London School of Economics e di Matteo Paradisi dell’Università di Harvard, ha invece calcolato i costi della riforma Fornero per le aziende, che hanno dovuto trattenere alcuni lavoratori più a lungo, non potendoli mandare in pensione prima. Secondo l’analisi, i costi della riforma sono stati piuttosto contenuti, accettabili visti gli enormi risparmi che ci saranno in termini di sostenibilità dei conti pubblici. Il merito di VisitInps è quello di sottolineare quanto sia importante avere delle serie analisi ex post delle politiche pubbliche. Questo è un campo su cui le istituzioni italiane sono deficitarie: la Corte dei Conti, ad esempio, ha la funzione di vigilare sui bilanci pubblici, ma non effettua delle vere analisi di costi e benefici come quelle svolte dal suo omologo britannico, il National Audit Office. Dal bonus cultura per i diciottenni, alla strategia seguita per risolvere le crisi bancarie, sono molte le scelte compiute dai governi Renzi e Gentiloni che meriterebbero un’analisi ex post approfondita. Il successo di queste iniziative dipenderà però da come verranno trattate dai media. Troppo spesso in Italia statistiche e ricerche economiche vengono diffuse indipendentemente dalla loro qualità. I politici possono così appellarsi alla relatività dei risultati, evitando di spiegare fino in fondo le conseguenze delle loro promesse. Un giornalismo che voglia essere efficace deve sapere a quali numeri credere. Solo così si può migliorare la qualità del nostro dibattito pubblico e, in ultima analisi, della nostra democrazia. L’autore è editorialista di Bloomberg View </p>