Economia

PRIMOPIANO

Ior, la battaglia di Francesco la banca del Vaticano torna ai “preti economi”

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<p>Paolo Rodari D ai banchieri di Dio ai Padri economi. La Santa Sede volta pagina. Si è chiusa con i licenziamenti del revisore Libero Milone e del direttore aggiunto dello Ior Giulio Mattietti, la stagione dei banchieri e dei manager chiamati da fuori a governare le finanze interne vaticane, eminenze laiche che si sono rivelate clamorosi boomerang per l’immagine della Chiesa: da Sindona a Calvi, fino alla «cricca degli appalti» è lungo l’elenco degli esterni il cui apporto è stato disastroso. <p>Paolo Rodari segue dalla prima L a volontà è quella di tornare all’antico, e cioè alla stagione dei «Preti economi », che come avviene nei migliori conventi e istituti religiosi, amministrano con discrezione, e con profitto interno, conti e soldi. E oggi, anche se nessuno ne parla, tutto è già in atto Oltretevere. Da quando lo “zar” delle finanze vaticane, il cardinale George Pell, è partito per l’Australia per difendersi dalle accuse di pedofilia, la palla è passata in mano a un uomo che in silenzio, sempre lontano dai radar dei media, sta riuscendo in ciò che Pell aveva fallito: cucire i rapporti fra la neo nata Segreteria per l’Economia e l’organo vaticano che col “caso Scarano” diede il via agli ultimi clamori interni, l’Apsa, il dicastero che gestisce l’immane patrimonio immobiliare d’Oltretevere. Si tratta di monsignor Luigi Mistò, classe 1952, sacerdote ambrosiano cresciuto alla scuola del cardinale Carlo Maria Martini, ex plenipotenziario delle finanze milanesi anche nell’èra Tettamanzi, con discrezione nominato “coordinatore ad interim” del “ministero” oggi soltanto sulla carta presieduto da Pell, appunto la Segreteria per l’economia. L’uomo dei dialogo È Mistò che periodicamente ci mette la faccia col Papa. Nel senso che si reca, quando convocato, al Consiglio dei nove cardinali che con Bergoglio lavorano sulla riforma della curia, per aggiornare sullo stato delle finanze. Fine teologo che non disprezza la contaminazione – il suo ultimo lavoro, “Cerco Te, solo per Te”, edito dalla Marcianum Press, parte da un verso di una canzone dei Modà presentata a Sanremo del 2013, “Se si potesse non morire”, riproponendo la centralità della Risurrezione – viene da quella scuola ambrosiana che portò a Roma personalità apprezzate in ruoli amministrativi, come fu il cardinale Attilio Nicora, già presidente dell’Apsa e dell’Autorità d’Informazione Finanziaria, un filone di prelusi legati alla finanza bianca dell’allora professore di Diritto pubblico della Cattolica Giovanni Bazoli. Un varesino mite, Mistò, che sa muoversi con l’agilità e insieme la prudenza dei Padri conventuali, figura che sa offrire maggiori garanzie dopo i mesi difficili segnati dall’interventismo di Pell. Sta riuscendo, infatti, a dialogare con il cardinale Domenico Calcagno, capo dell’Apsa, che anche per colpa del poco tatto del porporato australiano non sempre riuscì a digerire la netta distinzione imposta dal Papa fra chi gestisce i beni della Santa Sede – appunto l’Apsa – e chi vigila su questa attività di gestione, cioè la Segreteria per l’economia. L’asse con l’Apsa L’asse è anche col segretario della stessa Apsa, quel Mauro Rivella che vanta un importante curriculm nelle finanze ecclesiastiche: sacerdote piemontese, è stato capo dell’ufficio giuridico della Conferenza Episcopale e poi sottosegretario della stessa. Con Mistò le distinzioni procedurali procedono su canali lineari, senza strappi: alla Segreteria per l’economia compete formulare linee guida, procedure e migliori prassi in materia di appalti e, insieme, adempiere tutto quanto riguarda il personale, salvo il pagamento degli stipendi, che continua a essere affidato all’Apsa. «La riforma economico- finanziaria ha già ottenuto importanti risultati - ha recentemente assicurato Mistò in una recente intervista concessa ad Avvenire - . Primo fra tutti, la ricezione nei dicasteri della Curia della cultura del “budget”, che rappresenta lo strumento basilare per facilitare la pianificazione delle attività e per supportare e orientare le scelte proprie di ciascun dicastero». Potere al clero I recenti licenzianti di Milone e Mattietti sono stati favoriti da dicasteri differenti. Sul primo c’entra la Segreteria di Stato vaticana che per voce del sostituto Angelo Becciu ha spiegato come l’ex revisore fosse andato contro tutte le regole: «Stava spiando sulle vite private di suoi superiori e dello staff, me compreso », ha detto. Sul secondo ha avuto un ruolo la dirigenza laica dello Ior che, secondo quanto ha appreso Repubblica, mal tollerava la possibilità che il direttore aggiunto della banca fosse grado di disporre, e quindi di poter offrire, informazioni sensibili riguardanti lo stesso Istituto ad altri uffici interni. Il doppio spionaggio, in sostanza, ha causato la fuoriuscita di due figure laiche di primo piano delle finanze portando come unica conseguenza un indebolimento della forza lavoro laica all’interno della dirigenza vaticana la quale, già negli anni passati, aveva perso i contributi dei banchieri Ettore Gotti Tedeschi ed Ernst Von Freyberg. Così commenta un importante cardinale della curia romana quest’ultimo aspetto: «Sia nel primo sia nel secondo Vatileaks hanno avuto una funzione negativa decisiva personalità laiche ammesse a lavorare con troppa sufficienza in Vaticano. Da tempo si sostiene che la curia deve tornare in mano al clero, a gente di Chiesa che conosce le dinamiche interne e sa lavorare con discrezione». Il controllo sullo Ior La fuoriuscita dei manager laici segue la bocciatura papale di una riforma che avrebbe dovuto portare il dicastero di Pell a divenire un vero e proprio super ministero in grado di controllare sia tutti i beni sia i controlli, fino allo Ior, con la nascita del Vatican Asset Management, un fondo gestito tra i due enti. Contro questo fondo si è schierata la Segreteria di Stato che, di fatto, ha imposto un profilo più basso, curiale. Pell, forte anche di appoggi dentro il potente episcopato Usa e in centrali finanziarie e mediatiche, aveva in mano le chiavi di una riforma che, al di là dei suoi problemi in Australia a motivo delle accuse di abusi sessuali, probabilmente non sarebbe mai decollata nemmeno con la sua permanenza a Roma. Certo, allo Ior è tutt’oggi in sella il presidente voluto a tutti i costi da Pell, d’intesa con l’allora potente lobby maltese, il nobile-francese Jean Baptiste de Franssu. Ma l’impressione è che anche lui senta il peso della curia intorno a sé e che abbia per questo compreso come soltanto un incarico di basso profilo sia l’unica condizione in grado di garantirgli la permanenza. Oggi lo Ior, nonostante abbia imposto il licenziamento di Mattietti, resta un Istituto con poca libertà d’azione, sempre condizionato nel suo agire dal ritorno dell’influenza curiale. Il commissario Recentemente Francesco, per avere maggiore controllo su tutto, ha anche portato dentro l’Apsa un suo uomo, ancora un uomo di Chiesa, un vescovo argentino battagliero e intraprendente. L’incarico, del tutto nuovo, è di supervisionare l’attività dell’Apsa, Si tratta di monsignor Gustavo Óscar Zanchetta, fino a luglio vescovo di Orán, una città del Nord dell’Argentina, quasi ai confini con la Bolivia, una zona considerata pericolosa per la presenza di narcotrafficanti. Zanchetta era stato oggetto di pesanti minacce fino a che, a luglio, si era improvvisamente dimesso adducendo motivi di salute. Il Papa gli ha affidato un incarico pensato appositamente per lui. Zanchetta, ordinato prete nel 1991, ha fatto una carriera brillante e spedita, fino a diventare prima segretario della Commissione episcopale per l’Università cattolica argentina, e poi incaricato delle questioni economiche della diocesi di Quilmes, quindi vescovo nel 2013. Uomo di fiducia del Papa, potenzia la presenza clericale in uno degli organismi chiave delle finanze vaticane. 36 MILIONI DI EURO L’utile netto dichiarato dallo Ior nell’annual report per il 2016. Il patrimonio totale era di 3,3 miliardi 23 MILIONI DI EURO Sequestrati dalla Procura di Roma nel 2010 per riciclaggio. Fu accusato Gotti Tedeschi 2,1 MILIARDI I depositi presso lo Ior nel 2016, più 3,6 miliardi di asset gestiti e comunque in custodia Qui sopra, Piazza San Pietro; in basso la sede dello Ior, le Torre di Niccolò V all’interno della Città del Vaticano; a sinistra Papa Francesco </p>