Economia

PERSONAGGIO

Muriel Pénicaud la “Dame di ferro” che ha piegato il sindacato francese

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<p>Anais Ginori Parigi Q uando ha ricevuto la proposta, non ha esitato neppure un attimo. «Amo il rischio», confida Muriel Pénicaud. È stata accontentata. Ministro del Lavoro con il compito di riformare un Paese considerato a lungo “irriformabile”, in cui ogni scusa è buona per scioperare e manifestare. Otto mesi dopo, la Francia non è nel caos. Dopo aver varato la prima riforma sul Codice del Lavoro, la ministra è impegnata nel nuovo round di discussioni per cambiare le regole della formazione professionale, dei sussidi disoccupazione, dello statuto di nuovi lavoratori, dell’economia digitale. «È come il cubo di Rubik. Se vuoi riuscire, devi maneggiare ogni lato, regole del lavoro, formazione, pensioni, sussidi, potere d’acquisto. Abbiamo cominciato un percorso di riforme strutturali e di sistema». Nel governo composto per metà di nomi pescati fuori dalla politica, Pénicaud aveva l’identikit perfetto per essere un ministro “tecnico” o della società civile come voleva Emmanuel Macron. Nata a Versailles nel 1955, ha fatto una carriera tra settore pubblico e privato. Funzionario negli enti locali, consigliera al ministero del Lavoro a inizio anni Novanta, ma anche top manager da Dassault Systèmes e Danone. A differenza di Macron o del premier Edouard Philippe non viene dall’Ena, la scuola dell’élite. Ha studiato Storia, ha fatto una tesi in Scienze dell’Istruzione, ha un specializzazione in Psicologia. E’ stata attiva nel mondo no profit e delle associazioni. «Il mio è un percorso atipico, ho lavorato in diversi mondi professionali». Tutti riconoscono che è la persona giusta al posto giusto. Competente, preparata, con una rete consolidata di relazioni. E con il gusto per l’avventura. «Ho un’indole un po’ corsara che forse viene dai miei antenati di Genova». La ministra discende dalla famiglia Alegre che dalla città ligure partì alla conquista del Brasile, fondando la città Porto Alegre. Pénicaud sorride, ricevendoci al ministero di rue de Grenelle. L’indirizzo è diventato sinonimo di negoziati burrascosi, estenuanti trattative, concertazione infinita. Al pianterreno c’è ancora la sala con il lungo tavolo ovale dove ci furono, giusto cinquant’anni fa, gli storici “Accords de Grenelle” durante lo sciopero generale provocato dai movimenti del Sessantotto. Quest’estate Pénicaud ha fatto molte riunioni all’aperto, nel bel giardino del ministero da cui si gode di una vista sulla cupola degli Invalides. Nel piccolo parco troneggia il busto di René Viviani, primo ministro del Lavoro a metà dell’Ottocento. Un luogo ameno che non ha smorzato la tensione delle discussioni tra governo, sindacati e imprese. «Abbiamo fatto le ore piccole», ricorda Pénicaud. Nonostante la scelta di approvare la riforma con le “ordonnances”, l’equivalente dei nostri decreti leggi, la ministra ha voluto che ci fosse una vera concertazione, si vanta di aver condotto oltre 300 ore di consultazioni con le parti, riuscendo a convogliare i cinque sindacati, anche la più critica e ostile Cgt. «Il dialogo è stato costruttivo e rispettoso», racconta. Il paventato autunno caldo non c’è stato. Non contenta di aver scampato la tempesta sociale, Pénicaud ci riprova adesso con nuove riforme, pardon: “trasformazioni”. È così che Macron e i suoi ministri chiamano le leggi che dovrebbero modernizzare il sistema economico e sociale. La ministra è convinta che i francesi non siano così ostili al cambiamento, come vorrebbe il cliché. «Hanno solo bisogno di capirne il senso, l’obiettivo finale». La “trasformazione”, prosegue, cammina su due gambe. La prima è la modifica del codice del Lavoro, un tomo di 3400 pagine, vecchio di un secolo in alcuni punti e definito dalla ministra «incomprensibile, in particolare per gli investitori stranieri». Il governo ha introdotto alcuni strumenti di flessibilità, ad esempio privilegiare la contrattazione aziendale anziché nazionale oppure mettere un tetto alle indennità di licenziamento. La seconda “gamba” della trasformazione poggia sulla formazione professionale e l’apprendistato dei giovani per costruire una “società delle competenze” e ridurre lo scarto tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Un divario che rischia di aggravarsi con la rivoluzione digitale e la robotizzazione. «Molte persone che perdono il posto non lo ritrovano più semplicemente perché il loro mestiere sta scomparendo », osserva Pénicaud, sottolineando che la novità della nostra epoca è la distruzione di posti di lavoro nel settore terziario mentre, in passato, le innovazioni tecnologiche avevano un impatto soprattutto sull’industria. «Dobbiamo accompagnare questa transizione », dice la ministra. Attraverso la formazione professionale «sarà possibile essere liberi di scegliere il proprio futuro». Il governo discute anche di dare uno statuto ai nuovi lavoratori dell’economia digitale, di cui il simbolo sono gli autisti Uber o i fattorini di Foodora, dare un’indennità per i dipendenti che si licenziano con la voglia di riconvertirsi, ma anche essere più severi con i disoccupati che frodano lo Stato. Un punto dolente su cui il governo è già molto criticato. Pénicaud non arretra. «La maggioranza dei disoccupati cerca un nuovo lavoro – precisa - ma esiste una piccola minoranza che danneggia l’immagine degli altri. È una questione di giustizia sociale ». La ripresa in Francia, con una previsione dell’1,8% quest’anno, ha avuto finora un impatto ridotto sull’occupazione. Macron va ripetendo che gli effetti delle “trasformazioni” si vedranno non prima di due anni. Pénicaud conferma. La previsione del governo, aggiunge, è riuscire a portare la disoccupazione dall’attuale 9% al 7% entro il 2022, quando scade il mandato di Macron. Un obiettivo che può sembrare modesto. «Significa milioni di disoccupati in meno» sottolinea la ministra, puntualizzando: «Abbiamo scelto di fare riforme strutturali che produrranno effetti profondi e duraturi ». Con Emmanuel Macron si conoscono da tempo. «Ho capito subito che era qualcuno di eccezionale. Combina visione di lungo termine con attenzione ai dettagli, rapida comprensione, velocità di decisione», commenta Pénicaud. «E modestamente credo di aver fiuto: capire le potenzialità è stato a lungo il mio lavoro», ricorda alludendo ai suoi anni come responsabile delle risorse umane dei 60mila dipendenti di Danone. Il suo legame con Macron è stato fonte anche di qualche problema. Pénicaud era nel 2016 alla guida di Business France, ente che si occupa di promuovere le imprese francesi all’estero e gli investimenti stranieri in patria. Business France è stato accusato di aver organizzato a Las Vegas una costosa serata in onore dell’allora ministro dell’Economia, affidandosi al gruppo Havas, senza regolare gara d’appalto. Nel giugno scorso la procura che indaga per favoreggiamento ha ordinato perquisizioni nelle sedi di Business France e Havas. Una vicenda su cui è in corso un’inchiesta. «Ho fiducia nella giustizia», si limita a ripetere. Pénicaud è spesso attaccata per il suo passato da manager. Il quotidiano comunista l’Humanité ha scritto che avrebbe venduto le sue stock option qualche giorno prima dell’annuncio di un piano di ristrutturazione di Danone. «Le polemiche fanno parte della democrazia», taglia corto. Preferisce ricordare come abbia sempre cercato di conciliare performance economica e giustizia sociale. E quindi racconta come da direttrice del personale di Danone ha creato il programma Dan’Cares, copertura previdenziale e sanitaria per i dipendenti di India o Messico. «Un’azienda che ha successo deve avere dipendenti impegnati, motivati. E lo stesso vale per la nostra società, non si può lasciare ai margini un quarto dei cittadini, almeno non in una democrazia ». Pénicaud sta imparando in fretta la politica ma vuole conservare il suo profilo “tecnico”. Cita l’espressione preferita di Macron: “En même temps”, al tempo stesso. «Ancora prima di conoscerlo – confida – avevo al tempo stesso valori liberali e sociali». Muriel Pénicaud, ministro del Lavoro francese, vista da Dariush Radpour </p>