Economia

ECONOMIA ITALIANA

Paglieri: “Quella felce azzurra è tuttora un segreto di famiglia”

4 minuti di lettura
<p>Alessandria È un piccolo libretto con le pagine sdrucite. Conservato in cassaforte per generazioni: «Purtroppo l’ho lasciato dall’altra parte, non ce l’ho qui con me», scherza Mario Paglieri, il chimico di famiglia. È sulle sue spalle che grava il peso del segreto redditizio della Felce Azzurra, l’essenza di un business che dura dal 1923. Business generazionale. Il nome venne inventato da Ludovico Paglieri all’inizio degli anni Venti del Novecento quando la società aveva sede nella piazza centrale di Alessandria. A fissare la ricetta scrivendola sul famoso libriccino fu invece il figlio di Ludovico, Luigi, padre di Mario, che aveva imparato i segreti della profumeria a Ginevra. In origine Felce Azzurra era un’acqua di colonia. Presto, nel 1926, venne prodotto il talco. «Ma è una ricetta che non si trova nel circuito informatico aziendale. Tutti i giorni, nel laboratorio, doso gli ingredienti per trovare la miscelazione giusta della vera Felce Azzurra », confida Mario. Partita come profumeria nel 1807 e diventata società nel 1876, la Paglieri si è trasformata in industria nel Novecento. Grazie alle pubblicità con i divi degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta. Grazie gli sketch di Carosello con Ornella Vanoni, Mina, il Quartetto Cetra. Grazie a una cartellonisitca pubblicitaria che fece scandalo. Come la signorina a seno nudo disegnata da Gino Bocassile nel 1946. Ci cascò un severissimo giudice di Pavia che fece sequestrare il manifesto decretando il successo dei prodotti Paglieri dell’epoca. La signorina venne ricoperta da un pudico velo, come i puttini della Cappella Sistina. Ma non bastano la chimica e la pubblicità per far girare il business. «Siamo orgogliosi della nostra fabbrica - dice Aldo, il fratello di Mario - perché abbiamo investito in macchinari tra i più moderni d’Europa». Si capisce che Aldo ha la passione della meccanica. Mostra «la macchina tutta nuova della linea degli ammorbidenti », in grado di sfornare 10 mila flaconi da due litri all’ora o 6 mila da tre litri. Un frullare continuo di contenitori di plastica riempiti dalle tubazioni che corrono sul soffitto trasportando il prodotto direttamente dal laboratorio chimico. La fabbrica è uno degli orgogli di famiglia. Quando venne realizzata, all’inizio degli anni Sessanta, l’automazione non era ancora spinta e lavoravano alla linea centinaia di donne: «Eravamo all’avanguardia anche nei rapporti con il personale», dice Barbara, la figlia di Aldo. Raccontando che «siccome eravamo una fabbrica quasi tutta femminile avevamo creato uno dei primi asili aziendali all’interno dello stabilimento». Il giorno dell’inaugurazione i prati intorno all’attuale sede di Marengo si affollarono all’inverosimile come forse non erano mai stati da quando, 160 anni prima, non si svolse in questi campi la battaglia napoleonica che spianò la strada dell’Italia settentrionale all’imperatore francese. Oggi il vicino ponte sul Bormida, quello che nel giugno del 1800 aveva rallentato gli spostamenti delle truppe del generale austriaco Michael von Melas, è percorso dalle decine di camion che portano Felce Azzurra in giro per il mondo. Una parte è ancora talco: «Il nostro talco è purissimo - garantisce Debora, figlia di Mario, che turna con la cugina alla presidenza della società - e arriva dalle miniere della val Chisone, vicino a Pinerolo a un centinaio di chilometri da qui». Nello stabilimento è ancora conservato il gigantesco mulino del talco, un macchinario in legno che serviva a lavorare la polvere bianca. Oggi è sostituito da silos ventilati: «Il talco deve sempre essere in movimento. Se si sedimenta diventa un blocco impossibile da lavorare», spiega Aldo. «Nel corso del tempo l’essenza Felce Azzurra non è stata solo imprigionata nel talco. Ha cominciato a viaggiare prima nei prodotti per la cura della persona e poi, scelta che ha fatto discutere in famiglia ma si è dimostrata vincente, anche negli ammorbidenti », racconta Fabio Rossello, ex marito di Debora e socio della Paglieri. Ricordando come «all’inizio del Novecento i guanti venivano venduti già profumati, l’essenza era parte del prodotto. Analogamente abbiamo pensato che un ammorbidente dall’aroma inteso poteva avere successo perché consentiva di indossare abiti profumati». E così è stato. Oggi Paglieri produce 16 milioni di flaconi di ammorbidente all’anno. Qual è il prossimo passo per un’azienda che realizza ormai 150 milioni di euro di fatturato all’anno? «Abbiamo già scelto negli anni scorsi di avvalerci dell’aiuto di manager esterni alla famiglia anche se le decisioni sulle strategie continuiamo a prenderle noi Paglieri», dice Debora. Nel corso del tempo la società ha resistito anche a una vivace dialettica tra i due rami della famiglia e il fatto che oggi i Paglieri abbiano ritrovato l’unità «per difendere le radici italiane della società», è certamente una buona notizia. La prospettiva potrà essere lo sbarco in Borsa? «Mi sembra una scelta prematura - confessa Debora - anche se da anni abbiamo certificato la società e saremmo in grado di rispondere agli standard richiesti da un listing. Bisognerà valutare le opportunità che si presentano ». Se ad esempio la quotazione fosse necessaria per realizzare una importante acquisizione, si potrebbe parlarne. L’importante è che le linee di prodotto continuino a garantire fatturati. Accanto a Felce Azzurra sono nati altri brand come Cleò e Saponello. In stand by invece la linea farmaceutica che si potrebbe aprire quando la famiglia decidesse di investire su un brand come Schiapparelli, rilevato negli anni scorsi. «Per il momento abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi sul nostro core business più tradizionale - dicono gli eredi Paglieri - ma certamente quella del brand Schiapparelli è una opportunità che sfrutteremo in futuro».Ora si tratta di mettere in ordine una vastissima rete che vende tre linee diverse: i prodotti per la casa, gli ammorbidenti e i prodotti per la cura della persona. L’85% della produzione dello stabilimento di Alessandria è destinata all’Italia. Ma il 15%che va all’estero, in 45 diversi paesi del mondo, è solo la punta dell’iceberg perché gran parte dei prodotti destinati fuori dalla Penisola è realizzata su licenza: «Calcoliamo - dice Rossello - che i nostri licenziatari esteri realizzino un fatturato simile al nostro: altri 150 milioni che portano a circa 300 milioni i ricavi complessivi generati dalla nostra produzione ».Tutto però avviene a partire dalle alchimie di Mario: «Solo lui - dicono Debora e Barbara - sa distinguere all’olfatto la lavanda dal “lavandino”, la parte meno pregiata che va aggiunta alla prima in precise proporzioni per realizzare l’essenza di base». Che è il segreto di tutta la storia. Sopra, una fase della produzione A lato, la più nota tra le locandine pubblicitarie della Paglieri e uno spot con il Quartetto Cetra Sopra, una linea di imbottigliamento dei flaconi. Sotto, un prodotto della linea profumi </p>