Economia

PERSONAGGIO

Fulvio Conti dall’Enel a Singer il ritorno in Tim dell’uomo dei numeri

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<p>Milano P er i detrattori di Fulvio Conti, il merito della sua nomina a presidente di Telecom Italia, appena passata sotto le insegne del fondo Elliott alleato con la Cassa Depositi Prestiti, è tutto di Paolo Scaroni. Un legame e un rapporto di fiducia nato ai tempi in cui l’ex numero uno di Eni era amministratore delegato di Enel e Conti il suo direttore finanziario. Ma questa interpretazione sarebbe riduttiva. Il fatto che Scaroni sia la longa manus del fondo attivista americano in Italia non è certo un mistero per gli addetti ai lavori: lo sanno persino i tifosi di calcio, per il suo ruolo di proconsole del fondo della famiglia Singer nel consiglio di amministrazione del Milan, dove tutela i 303 milioni prestati a Yonghong Li per comprare il club da Silvio Berlusconi. Ma Conti, nella vicenda, ha meriti anche suoi. Per esempio: aver intessuto in oltre 30 anni di carriera contatti con centinaia di fondi e banche internazionali, nonché investitori di ogni latitudine: tutti coloro che hanno interessi in Telecom - e ne custudiscono una parte del capitale possono vedere in lui il presidente di garanzia fondamentale nel momento delicato in cui una società si trasforma in public company. C’è poi un terzo aspetto: nomen omen direbbero i latini. A Conti viene riconosciuto di essere un valido uomo di numeri: tutta la prima parte della sua carriera, almeno fino al 2004 quando diventa amministratore delegato di Enel, si svolge nell’area finanza. E siccome quella di Elliott è pur sempre l’operazione di un fondo che investe a breve-medio periodo o almeno fino a quando non ha raggiunto il suo obiettivo di rendimento (nel caso di Telecom almeno un 30% che corrisponde al ritorno del titolo a quota 1 euro), l’attenzione ai conti della società sarà fondamentale. Non per nulla, Elliott in cda ha proposto altri due ex direttori finanziari: Luigi Gubitosi (l’uomo che sta traghettando la vendita di Alitalia) e Massimo Ferrari (ex Fineco, ora in Salini Impregilo). Conti, inoltre, può vantare anche esperienza nel settore. Per lui è il classico ritorno sul luogo del delitto: nel biennio 1988-89 è stato direttore finanziario di Telecom tra il periodo in cui amministratore delegato era Franco Bernabè (e la società una sorta di public company) e quello dell’Opa lanciata da Roberto Colaninno. Da manager di Enel, invece, ha completato la cessione di Wind avviata da Scaroni, per mettere fine all’avventura nelle telecomunicazioni, diventata un buco nero non più sostenibile. Vicenda per cui è stato anche indagato, uscendone senza nemmeno essere rinviato a giudizio. Infine, per Conti parla il curriculum. Una carriera, iniziata nel 1969 dopo la laurea in Economia alla Sapienza - nel privato che più privato non si può, il gruppo petrolifero americano Mobil, per poi svilupparsi alla Montedison e nelle partecipazioni pubbliche nella stagione delle grandi privatizzazioni: oltre a Telecom, Ferrovie dello Stato, Grandi Stazioni, Terna. Ma l’incarico che gli ha dato più visibilità è il ruolo di capo azienda a Enel, di cui è stato ad tra il 2005 e il 2014. In un momento di grandi trasformazioni: se Franco Tatò prima e Scaroni poi avevano traghettato Enel verso la Borsa e il mercato liberalizzato, Conti si trova davanti alla sfida del mercato allargato alla Ue. Dove intuisce che Enel ha l’urgenza di una grande acquisizione: diventare predatore per non essere mangiato. E individua un obiettivo ambizioso: il gruppo privato francese Suez, presente in oltre 70 paesi, il più grande produttore di energia elettrica a livello globale. Ma non fa in tempo a lanciare la sua offerta che viene stoppato dalla politica: Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio lo chiama riferendogli di aver ricevuto una telefonata quanto mai minacciosa del presidente Jacques Chirac: la Francia sarebbe stata pronta a tutto pur di non perdere il suo gioiellino. E meno che mai cederlo a les italiens. Morale: l’Eliseo promuove una fusione tra Suez e il gruppo pubblico Gaz de France, da cui poi è nata l’attuale Engie. Enel, invece, cambia obiettivo: il gruppo privato spagnolo Endesa. Nemmeno nella penisola iberica le cose sono facili: su Endesa ha messo gli occhi anche la tedesca E.On e per non svenarsi in una guerra di rilanci, tedeschi e italiani si accordano con uno spezzatino di Endesa. A prima vista, Conti sembra aver preso la sola, come si direbbe nella sua Roma (è nato e cresciuto nel quartiere Monti): per deporre le armi i tedeschi chiedono gli asset italiani di Endesa, di fatto centrali rilevate con la vendita forzata delle proprietà di Enel per mettere fine al monopolio e aprire il mercato alla concorrenza. A Enel vanno la Spagna e le controllate sudamericane, che all’epoca - a parte qualche grande diga - sono ben poca cosa. Una mossa a prima vista azzardata si rivela un colpo di fortuna: lo sviluppo delle rinnovabili trasforma il Sud America in un Eldorado della green economy, mentre la recessione che colpisce l’Italia fa crollare la vendita di energia. Al punto che E.On metterà all’asta le sue centrali nella penisola. La mossa è una scommessa finanziaria: per arrivare a Endesa, Enel si indebita e la posizione finanziaria schizza oltre i 56 miliardi. Per sostenere l’operazione, la società viene sottoposta a una doppia cura dimagrante. Da un lato, un rigoroso taglio dei costi (si arriva a prenotare voli in economica pure sulle medie distanze) e dall’altra una campagna di cessioni che non si è conclusa ancora oggi. Non solo: Enel è costretta a un aumento di capitale da 8 miliardi, che - secondo gli analisti più critici deprime il titolo per anni (pur avendo sempre dato una cedola in alcune stagioni anche generosa). Il che gli aliena il favore dei fondi internazionali: quando Conti raggruppa tutte le attività nelle rinnovabili in Enel Green Power per collocarla in Borsa, l’accoglienza è quanto mai fredda. Conti, allora, sposta parte delle azioni sull’offerta al piccolo risparmiatore. Ma, in finanza, le guerre dipendono dai rendimenti: Enel Green Power si rivela operazione di successo e con il “mercato” torna il sereno. Tutte vicende che l’hanno portato a essere cooptato nell’élite finanziaria, con svariate poltrone nei cda (dal colosso assicurativo Aon a Rcs all’Istituto Italiano di Tecnologia) e l’ingresso come consigliere in Barclays e nel fondo australiano Macquarie. Non male per chi come Conti era partito facendo il panettiere per mantenersi agli studi e che quando lavorava al forno aveva l’accordo con il proprietario per ascoltare le radio straniere per imparare da solo le lingue. Origini che Conti non ha mai rinnegato nonostante le attuali frequentazioni altolocate (ben diverse, per esempio, dal sodale Scaroni, che già da piccolo passava le vacanze a Cortina). Per dire: con i primi risparmi ha comprato l’appartamento al quartiere Monti dove aveva abitato con la famiglia da piccolo. Anche se quel mondo sembra ormai lontano: Conti frequenta ed è socio della comunità finanziaria che conta in Italia. Ha investito parte della buonuscita da Enel (6,4 milioni) nella Spac Innovia, di cui fa parte Franco Gianni, uno degli avvocati d’affari più in vista nonché nel Fondo Italiano per l’efficienza energetica, una Sgr con Andrea Agnelli e l’ex Mediobanca Maurizio Cereda. Ha avuto anche ruoli in Confindustria, di cui è stato vicepresidente: i voti di Enel assieme a quelli di Eni (ritorna anche qui l’accoppiata con Scaroni) sono stati decisivi nel 2012 per l’elezione di Giorgio Squinzi, che per sole 11 preferenze si impose su Alberto Bombassei. Una carriera in cui non mancano battute d’arresto. Ad esempio, non si è preso con Matteo Renzi, che non lo riconfermò a Enel perché lo “individuò” come uno dei manager del periodo berlusconiano, per quanto in uno dei suo tre mandati a Enel sia stato confermato da Romano Prodi, il cui intervento sul premier spagnolo Zapatero fu fondamentale per la conquista di Endesa. Per lui, come per Scaroni, ma anche Sarmi (Poste) e Cattaneo (Terna), Renzi introdusse la regole dei tre mandati ai vertici delle partecipate del Tesoro. Poi c’è il caso del nucleare: Conti avrebbe voluto che Enel costruisse almeno due grandi impianti per riequilibrare il mix energetico (in Italia ancora oggi sbilanciato sul carbone) e avere elettricità a basso costo. Peccato che per farlo avesse scelto la tecnologia francese Epr, la stessa che in Francia blocca da cinque anni l’inaugurazione della centrale di nuova generazione a Flamanville in Normandia, di cui Enel aveva rilevato il 12,5%. Se non ci fosse stato il referendum dopo l’incidente di Fukushima, l’Italia avrebbe impegnato miliardi per un progetto che in Francia sta mettendo in crisi un colosso come Edf, proprietaria della tecnologia Epr. Lo ha salvato essere un uomo di “numeri”, per definizione prudente: aveva fatto inserire una opzione per rivendere la quota di Flamanville, recuperando oltre 600 milioni. Fulvio Conti, appena nominato presidente di Tim dopo la lunga esperienza da ad di Enel, visto da Dariush Radpour </p>