Esteri

Iraq, nuovo attacco contro i curdi

(lapresse)
Offensiva delle truppe di Baghdad a 30 chilometri dalla diga presidiata dagli italiani. Il premier Abadi: vogliamo la revoca dell’indipendenza
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ZUMMAR (IRAQ) - Basta poco per passare dalla guerra di nervi alle cannonate. E lungo la linea di sabbia che divide truppe irachene e peshmerga curdi la tensione è altissima. All'alba si è cominciato a sparare a nord di Mosul, la capitale dello Stato islamico liberata dall'impegno comune dei due schieramenti che ora si fronteggiano. Dalle posizioni irachene sono partiti colpi di artiglieria pesante contro i fortini curdi e subito dopo è stata segnalata l'avanzata dei mezzi di Baghdad. Dopo due ore, stando ai comunicati dei peshmerga, i combattimenti stavano proseguendo.
 
Quest'offensiva è concentrata sulla città di Zummar, a soli trenta chilometri dalla base italiana che protegge il cantiere della diga di Mosul. Dall'inizio delle ostilità curdo irachene, i nostri soldati si sono ritrovati in prima linea. Si tratta di circa cinquecento militari, con blindati, mortai ed elicotteri, incaricati di difendere i tecnici civili della ditta Trevi che stanno restaurando il colossale sbarramento artificiale sul fiume Tigri. Al loro fianco c'erano sia unità dell'esercito iracheno, sia nuclei di peshmerga che però la scorsa settimana si sono ritirati, lasciando alle truppe federali il controllo dell'infrastruttura.
 
Stando alle fonti curde, l'obiettivo della nuova operazione punta più a nord della base italiana: vengono segnalati tiri di artiglieria anche dalla zona di Rabia, in quella che appare una manovra per chiudere la strada che collega il Kurdistan con la frontiera turca ossia la principale arteria di rifornimento del paese.
 
Il confronto armato tra curdi e iracheni finora ha provocato un numero di vittime limitato. Ci sono stati pochi scontri a fuoco, spesso imputati alle milizie sciite che accompagnano i battaglioni regolari iracheni. Di fronte all'avanzata dei tank di Baghdad, i peshmerga si sono ritirati sul vecchio confine rinunciando ai territori occupati in due anni di battaglie con l'Isis. A scatenare le ostilità è stato il referendum curdo del 25 settembre, che ha spinto le autorità di Erbil a proclamare l'indipendenza ponendo di fatto fine al modello federale che aveva governato l'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Una mossa inaccettabile per il premier Abadi, che ha fatto muovere l'esercito verso nord. Due giorni fa il presidente curdo ha proclamato la sospensione dell'indipendenza, chiedendo di intavolare trattative. Ma la risposta di Baghdad è stata netta: "Non accetteremo nient'altro che la cancellazione del voto e il rispetto della costituzione". Una linea che ha il pieno sostegno della Turchia di Erdogan, ribadito ieri durante un vertice con Abadi.
 
La diplomazia occidentale ha cercato di negoziare un cessate il fuoco, finora senza risultato. Neppure l'intervento personale di Tillerson, il segretario di Stato americano, è riuscito a modificare la posizione di Bagdad. A preoccupare gli Usa sono gli effetti di queste ostilità sulla campagna contro lo Stato islamico, che potrebbe sfruttare la situazione per riprendere fiato e riorganizzare quel che resta delle sue forze. Ma Washington teme anche la crescente influenza dell'Iran sul governo iracheno, espressione della maggioranza sciita del paese: i reparti dell'esercito regolare si muovono assieme alle milizie confessionali, che sono state addestrate dai guardiani della rivoluzione di Teheran.
 
Il rischio è che la presenza sciita nei territori sunniti strappati allo Stato islamico possa vanificare ogni tentativo di pacificazione, provocando una ripresa della guerra civile e cancellare i risultati della mobilitazione contro l'Isis.