Esteri

Papa Francesco in Myanmar, tra cambi di programma e una parola 'vietata'

Papa Francesco (agf)
Il pontefice è atterrato a Yangon: centinaia i fedeli ad attenderlo. Occhi puntati sul colloquio con il Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Dai vescovi birmani il monito: "Non pronunci mai la parola 'rohingya' per non interferire nella politica locale"
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YANGON - Il viaggio del papa in Myanmar è iniziato con un doppio cambio di programma: avrebbe dovuto incontrare il generale Min Aung Hlaing, ma se ne è ritrovati davanti cinque. Il primo incontro è stato infatti con il capo dell'esercito e altri vertici militari che hanno governato per anni con pugno di ferro l'ex Birmania. "Nel colloquio di oggi - ha spiegato il portavoce della Santa Sede, Greg Burke - si è parlato della grande responsabilità delle autorità del Paese in questo momento di transizione".

Su ciò che dirà il pontefice pende poi un particolare divieto, quello di non pronunciare la parola 'rohingya', la minoranza cacciata dal governo e che ha dovuta rifugiarsi in Bangladesh. È stato spostato a domani il faccia a faccia più atteso, quello con il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, oggi consigliera di Stato e ministro degli Esteri, duramente criticata per non aver preso una posizione forte contro la persecuzione dei rohingya. Sul tavolo della discussione anche l'accordo che Myanmar e Bangladesh hanno da poco trovato per il rimpatrio di oltre 600mila persone.

Myanmar: l'arrivo di papa Francesco a Yangon


Papa Francesco è atterrato questa mattina a Yangon, capitale del Myanmar, dopo circa 10 ore di volo: 8.600 i chilometri percorsi dall'airbus 330 di Alitalia a bordo del quale viaggiava il pontefice, accolto al suo arrivo da un ministro del presidente della Repubblica Htin Kyaw, dai vescovi birmani e da un centinaio di bambini e gruppi etnici in abiti tradizionali. 

Fuori dall'aeroporto centinaia i fedeli ad attenderlo, in quello che è un evento storico per il Paese asiatico: si tratta infatti della prima visita di un pontefice in Myanamar. Papa Francesco si è quindi diretto all'arcivescovado di Yangon, nella residenza che lo accoglierà nel suo soggiorno in Myanmar, da cui partirà giovedì per il Bangladesh, dove si tratterrà fino al prossimo 2 dicembre.

• 'ROHINGYA', LA PAROLA PROIBITA
Una visita, quella di Francesco, che punta a dare un segnale di unità all'intera popolazione dell'area, in un momento drammatico. Da fine agosto, infatti, l'esodo dei profughi rohingya verso il Bangladesh ha causato una vera emergenza umanitaria: Unhcr parla di 622 mila persone fuggite, che vanno a sommarsi alle 160mila già presenti nel Paee al confine con il Myanmar.

Tutti attendono di vedere, adesso, se il pontefice pronuncerà o meno la parola "rohingya", che i vescovi birmani gli hanno chiesto di "non nominare mai" durante la sua visita. Il gruppo etnico di religione islamica non è infatti riconosciuto quale minoranza all'interno del Paese. 

Dal cardinale Charles Maung Bo è arrivato un esplicito monito: "Ho avvertito il papa. Gli ho detto che sia il governo che i militari ma anche la gente in generale, soprattutto gli appartenenti alla polizia, non gradiscono questo termine - ha spiegato in un'intervista a Tv2000, precisando: "Se usi questa parola vuol dire che sposi completamente la loro causa. Anche se io ho cercato di spiegare che se dovesse usarla, non vuol dire che il papa voglia interferire nella politica interna birmana ma semplicemente lo fa per una particolare simpatia verso queste persone che stanno soffrendo. Potrebbe farlo ma solo per indicare di chi stiamo parlando".

Ha quindi sottolineato come per la visita di Papa Francesco tutti nutrano grandi aspettative in Myanmar, dove il pontefice arriva principalmente "per essere vicino a poveri ed emarginati" e per incontrare i leader delle altre religioni e quanti stanno lavorando alla pace: "questo è un punto di sintesi e partenza per la democrazia".