Esteri

Lotta all'Aids: dallo Zimbabwe un'altra rivoluzione pronta a cambiare l'Africa

Sedici anni fa, i morti per Hiv erano duemila a settimana: oggi il numero si è ridotto di tre quarti. Merito di un auto-test di depistaggio che mette al riparo da stigmatizzazioni e che sarà presto esteso ad altri Paesi del sud del mondo, dove l'emergenza rimane alta e appena la metà di chi ne bisogno riceve i farmaci contro il virus
2 minuti di lettura
SEDICI ANNI fa, quando lo Zimbabwe sprofondò nella crisi economica che ancora lo funesta, quando per ordine di Robert Mugabe ai farmers bianchi furono espropriate le loro terre e quando scoppiò l’iper-inflazione della moneta locale, era sieropositivo il 60% delle donne incinte e ogni settimana morivano fino a duemila persone di Aids. Oggi, soprattutto grazie agli aiuti internazionali, questa cifra si è ridotta di tre quarti, e la maggior parte dei sieropositivi sono consapevoli della loro infezione.  

LO SPECIALE

Complice di questo prodigioso risultato è un test di depistaggio, semplice e anonimo, che sta operando una rivoluzione per i malati di Aids non meno fragorosa di quella che ha deposto il 15 novembre scorso l’anziano despota dopo una reggenza durata 37 anni. Il programma di distribuzione di questo auto-test si chiama Star (Hiv Self-Testing Africa), è finanziato dall’Unitaid (60 milioni di euro) e oltre a Zimbabwe, Malawi e Zambia, sarà presto esteso anche in Sudafrica, Swaziland e Lesotho, tutti Paesi duramente colpiti dall’Aids.

Il grande vantaggio di questo test è la sua “confidenzialità”. Il che mette al riparo il possibile sieropositivo dalle stigmatizzazioni, che in molti luoghi del pianeta possono rivelarsi più dannose della malattia stessa. Per effettuarlo basta strofinarsi un bastoncino sulle gengive e poi immergerlo in un liquido: se dopo 20 minuti appare una sola riga, si è negativi; se le righe sono due, c’è il rischio di essere sieropositivi.

Certo, si è ancora lontani dall’obiettivo che si posto UnAids per il 2020, e che tiene in tre cifre, 90-90-90, ossia che il 90% dei sieropositivi siano consapevoli di essere stati infettati, che il 90% ricevano farmaci e che il 90% abbia una carica virale nel sangue così bassa da non essere rivelabile. Ma venerdì prossimo, nella giornata della lotta contro l’Aids, che serve anzitutto fare il punto sulle strategie e sulle nuove terapie per contenere il virus, il programma Star verrà senz’altro da tutti elogiato.

L’altra costatazione che verrà fatta dopodomani è che in molti Paesi del sud del mondo il virus è tuttora una grave emergenza perché, nonostante l’enorme mobilitazione internazionale degli ultimi anni, i farmaci anti-Hiv sono oggi distribuiti soltanto a 21 milioni di persone, e cioè alla metà di coloro che ne hanno bisogno.
Nei Paesi ricchi, soltanto pochi pazienti arrivano oggi in ospedale già colpiti da un’infezione opportunistica, quali una grave polmonite o una criptococcosi cerebrale.

Nei Paesi africani, invece, accade alla maggioranza di loro, con persone che sono quindi più difficili da curare. C’è perciò bisogno di nuove strategie terapeutiche e di farmaci più efficaci, ma l’industria farmaceutica non è interessata a investire nella ricerca per Paesi poveri. Per fortuna, ci pensano le organizzazioni umanitarie e i grandi filantropi, da Unitaid a Bill Gates.