Esteri

India, una "terra promessa per i gay": principe indiano crea un centro per Lgbt

L'ultimo erede, omosessuale, di un'antica dinastia indiana ha messo a disposizione della comunità Lgbt una parte delle sue terre, per proteggerli da persecuzioni familiari e governative
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BANGKOK – Il principe indiano Manvendra Singh Gohil dev’essere stato tra i primi a gioire dopo la sentenza di ieri della Corte Suprema indiana che ha chiesto al governo di rivedere le rigide norme penali contro l’omosessualità di retaggio coloniale britannico. Ultimo erede e primo gay di un’antica dinastia di Maharaja induisti del Gujarat cresciuti nel mito patriarcale della successione di sangue blu, alla vigilia del verdetto aveva annunciato la volontà di mettere a disposizione 7 ettari di terreno per tutte le persone della comunità Lgbt in fuga da familiari oppressivi, da ritorsioni e dalla persecuzione di una legge di fine ‘800, anche se raramente è stata applicata dopo il suo ripristino nel 2013.

Manvendra stesso era stato vittima del pregiudizio, quando la famiglia lo disonorò all’indomani della sua dichiarazione pubblica di provare attrazione verso persone del suo stesso sesso. Con le terre e un discreto vitalizio ha creato 11 anni fa la Lakshya Trust per i diritti Lgbt, e in questi giorni ha già messo a disposizione la sua reggia come primo dei numerosi edifici nei quali vuole ospitare chiunque cercherà rifugio per motivi di discriminazione sessuale. La sua idea di uguaglianza di fronte alle leggi umane e divine non è diversa da quella espressa dai giudici nella motivazione della sentenza. “Il cittadino che esercita la propria scelta non dovrebbe mai sottostare a uno stato di paura", hanno scritto. E aggiunto: "I confini della legge non possono calpestare o limitare il diritto intrinseco dell’individuo ai sensi dell'articolo 21, il diritto alla vita e alla libertà".

Il capo dei costituzionalisti Dipak Misra e i suoi consiglieri hanno liquidato così la tesi di “crimine contro l’ordine della natura” passata dall’Inghilterra puritana dell’800 all’India postcoloniale con l’appoggio degli ultrareligiosi:"Ciò che è naturale per uno – hanno scritto - potrebbe non essere naturale per gli altri".
Sembrano passati secoli dal 2013 quando la stessa Corte, in mancanza di nuove legislazioni, dovette dichiarare valida la legge coloniale invitando però il governo a farne una nuova. A quel tempo il progressista Congresso stava per crollare alle urne e non era certo la legge in difesa dei gay in cima alle priorità. Lo stesso attuale governo del Bjp di Narendra Modi ha avuto altri punti in agenda.

Nel suo piccolo il futuro Maharaja ha cercato di creare la patria ideale descritta dalla Costituzione indiana e già evocata in altre sentenze della Corte, ma finora irrealistica. Il suo mini-regno è una sorta di terra promessa per gay e transgender che potrebbe diventare un’oasi di culto internazionale – c’è già ospite una transex americana - a prescindere dai destini della legge e dei codici morali di un Continente generalmente ostile o pudico in materia di sesso, spesso violento.

“In India – ha detto il principe mecenate - siamo mentalmente condizionati dalla famiglia e dai genitori. Nel momento in cui cerchi di dichiarare quello che provi ti viene detto che verrai buttato fuori e che la società ti boicotterà. Diventi un emarginato sociale. E molte persone dipendono finanziariamente dai loro genitori”.Per questo il principe, evidentemente facoltoso anche in disgrazia, intende dare “un sostegno sociale e finanziario per aiutarle a uscire”. “Avranno il loro sistema di sicurezza sociale – assicura – e non farà differenza se sono diseredati”. Molti prevedono che la sua oasi di pochi ettari sarà presto un grande cantiere in lavorazione, una sorta di stazione sperimentale dei limiti sociali di tolleranza a prescindere dalla liberalità o meno delle leggi su carta.