Esteri

Tunisia, terza notte di disordini: il governo schiera l'esercito

(ap)
Gli arresti sono già 328, il Fronte popolare annuncia la mobilitazione in vista del 14 gennaio, anniversario della "rivoluzione dei gelsomini" con la fuga di Ben Ali
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LA PAROLA d’ordine è “Che cosa aspettiamo?”, ovvero #Fech_Nestannew, riferimento dei social network ed esplicita dichiarazione di rabbia. I tunisini sono scesi in piazza per la terza notte di seguito, le notizie di disordini inseguono quelle dei primi saccheggi. L’opposizione cavalca la protesta, con il Fronte Popolare che guarda già alle elezioni del 2019 e annuncia mobilitazione crescente, in vista del 14esimo anniversario della fuga di Ben Ali. Ma la reazione del governo sembra limitarsi alla repressione con la forza: gli arresti sono già 328, annuncia il ministro dell’Interno Khalifa Chibani, che segnala anche il ferimento di 21 agenti e conferma il lancio di una molotov su una scuola ebraica a Djerba.


A Tunisi circola la voce di un possibile coprifuoco, ma un’eventuale decisione in questo senso è rischiosa. Potrebbe servire a tamponare il fermento, come è successo in passato, ma potrebbe anche stabilire una linea di confine dopo la quale non si torna indietro. E l’irritazione dei tunisini è sicuramente reale: le proteste sono divampate più in fretta nelle città depresse dell’interno, a Kasserine come a Sidi Bouzid, ma hanno coinvolto anche le zone della costa e la capitale, dove le condizioni economiche sono meno preoccupanti.

I dati dell’istituto di statistica mostrano che il paese si sta riprendendo: la crescita supera il due per cento, è lenta ma appare stabile. Ma con disoccupazione altissima e inflazione galoppante, forse non è il momento più adatto per l’introduzione di misure di austerità, sia pure richieste dal Fondo Monetario Internazionale, come le tasse su casa, auto e telefoni e l’aumento del prezzo della benzina. Il pericolo, a questo punto, è che il governo di Tunisi sia tentato di adottare un atteggiamento autoritario, obbedendo a un riflesso antico.

Tunisia, terza notte di proteste: gli scontri tra polizia e manifestanti


Poco rassicuranti, in questo senso, sono le denunce di presunte infiltrazioni jihadiste fra i manifestanti e la decisione di schierare l’esercito in città delicate come Sousse, Kebilia e Biserta. La visione dei tumulti potrebbe spingere il presidente Béji Caïd Essebsi a proporre riforme costituzionali che ne amplino il potere, e la conseguenza inevitabile sarebbe una polarizzazione dello scontro sociale, tanto più con un quadro politico estremamente diviso, in cui la stessa coalizione di governo comprende posizioni molto diverse, fra i laici di Nidaa Tounes e gli islamici di Ennhadha. A questo panorama si aggiungono elementi psicologici non trascurabili: la celebrazione universale della “rivoluzione dei gelsomini” ha suscitato in Tunisia speranze che solo in minima parte sono state soddisfatte. E adesso, un brusco “bagno di realtà” imposto senza gradualità dalle istituzioni finanziarie internazionali rischia di suscitare nuove rivolte, ma stavolta senza prospettiva. Per capire quale sia lo stato d’animo dei tunisini, basta guardare al ritorno degli scafisti: ridotta l’attività in Libia, crescono le partenze proprio dalle spiagge tunisine. Quando in patria regna la disperazione, il miraggio torna ad essere Lampedusa.