Esteri

Freddezza con l'Italia, dialogo con il Vaticano: i risultati della visita di Erdogan

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ROMA - La Turchia di Recep Tayyip Erdogan è rimasta sorpresa dalla freddezza italiana. E il Sultano folgorato dal “gelo” riscontrato durante la sua giornata romana, sia dal Quirinale sia da Palazzo Chigi. Con lui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni hanno usato parole cortesi, rispettose nella formalità del confronto diplomatico, ma non hanno fatto sconti sulla protezione dei diritti, delle diverse libertà, e sulla guerra in Siria, argomenti evocati in modo esplicito negli incontri con il Presidente turco.

   Tornato nella notte ad Ankara, ancora in volo il leader turco ne ha parlato con i suoi consiglieri. L’Italia resta un Paese amico, e la cena conclusiva all’Hotel Excelsior di via Veneto con gli imprenditori italiani ha confortato il forte interscambio italo-turco, dove Roma rappresenta per Ankara il terzo partner commerciale con un volume di affari di 17,8 miliardi di dollari. Ma il fronte politico della visita è risultato deficitario secondo le aspettative di Erdogan, e rispetto al passato.
  
Molto meglio, a confronto, l’appuntamento in Vaticano, che in teoria poteva rappresentare per lui il lato più delicato del suo intenso viaggio a Roma. In passato le polemiche fra il Sultano e il Papa si erano sprecate. Prima della sua visita nel 2014 ad Ankara il Pontefice argentino era stato aspramente criticato dall’allora Direttore degli Affari religiosi del governo turco (poi si erano riappacificati), Francesco non aveva gradito essere il primo leader a varcare la soglia del fastoso palazzo presidenziale appena inaugurato da Erdogan, e le successive dure parole del Presidente turco sulla dichiarazioni di Francesco a proposito del genocidio armeno avevano molto allontanato la Turchia dal Vaticano, con il richiamo addirittura dell’ambasciatore dalla Santa Sede. Poi, però, la visione molto realistica della politica da parte del Sultano ha avuto la meglio. Come un falco Erdogan è saltato sulla dichiarazione di Donald Trump a proposito del riconoscimento di Gerusalemme come capitale della sola Israele, e di colpo si è sollevato a paladino del grande mondo musulmano, ergendosi a difensore della Città santa come capitale della Palestina. Qui aveva incontrato la posizione dialogante del Papa, favorevole sullo status quo per Gerusalemme. Erdogan ha preso il telefono e chiesto appuntamento al Pontefice, con un incontro subito accordato. Al dunque il Vaticano, tra Francesco e il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha accolto il Sultano in modo amichevole, però non ha esitato a esprimere la sua opinione con forza. “Rispetto e protezione per le minoranze cristiane in Turchia e nella regione”, ha chiesto. “Rispetto per i curdi e cessazione immediata delle uccisioni in atto”, soprattutto delle vittime civili e innocenti.

   Con l’Italia, più tardi, Erdogan ha risposto a tono, replicando che le decine di migliaia di arrestati dell’ultimo anno e mezzo “sono tutti amici di Fethullah Gulen”, l’imam in autoesilio in Pennsylvania accusato da Ankara di essere l’organizzatore del golpe poi fallito nel luglio del 2016. E che i curdi nella regione di Afrin oggi sottoposti ai raid delle Forze armate turche nell’operazione ‘Ramoscello d’ulivo’ “sono terroristi, ammazzano le nostre donne e i nostri bambini”. Davanti al Pontefice il Sultano non è arrivato a replicare in modo così esplicito. Anzi si è inchinato, mettendosi la mano sul cuore assieme alla moglie Emine.

   Ma la sua reazione sorpresa di fronte alla freddezza manifestata da Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni, che ha piccato Ankara, ha dimostrato che quando si ha la spina dorsale per parlare con chiarezza, anche a una personalità forte, storicamente amica, ma ritenuta ormai da tempo caduta in una deriva autoritaria di stampo autocratico, questo paga in termini di forza (gli affari con le aziende turche proseguono infatti in modo inalterato), popolarità e rispetto. Sia presso i partner europei, sia presso gli elettori italiani.