Esteri

Corea, anche la Russia in campo. Attesa per la conferma del vertice di Singapore

Lavrov a Pyongyang domani. Nella stessa giornata l'incontro fra il segretario di Stato Usa Pompeo e l'inviato di Kim che deciderà le sorti dell'incontro fra i due leader

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PECHINO - Anche la Russia, in extremis, prova a dire la sua sul destino della penisola coreana. Domani il ministro degli esteri di Mosca Sergei Lavrov arriverà a Pyongyang, per vedere il suo omologo Ri Yong Ho. La visita nasce da un invito rivolto a Lavrov dallo stesso Ri durante il loro incontro dello scorso aprile nella capitale russa. Ma assume tutt'altro rilievo in vista del possibile summit del 12 giugno a Singapore tra Trump e Kim, per cui Stati Uniti e Nord Corea sono proprio in queste ore impegnate negli incontri decisivi. La Russia faceva parte del "sestetto" che tra il 2003 e il 2008 aveva negoziato il precedente disarmo di Pyongyang. Ed è uno dei pochi Paesi a parte la Cina con cui la Corea del Nord ha sempre continuato a mantenere relazioni diplomatiche e economiche.

Resta però improbabile che Putin, i cui rapporti con gli Stati Uniti sono ai minimi termini, possa riconquistare voce in capitolo nelle trattative, anche dopo Singapore. Così come il Giappone, l'altro membro del sestetto, nonostante l'incontro in agenda tra il premier Abe e Trump il 7 giugno. Il vertice di Singapore, e soprattutto un eventuale accordo, restano una partita a quattro tra Washington, Pyongyang, Pechino e Seul. Con le prime due a cui spetta la prima urgente risposta sulla possibilità che il 12 giugno Kim e Trump si vedano. Kim Yong Chol (e non "Young Chol" come scritto su Twitter dal presidente americano), 72 anni, ex capo dell'intelligence nordcoreana e braccio destro di Kim, è in volo verso New York dove incontrerà il segretario di Stato americano Pompeo. È il più alto funzionario del regime che metterà piede sul territorio americano dal 2000, una "grande risposta" alla mia lettera, l'ha definita Trump. In parallelo, due delegazioni americane continuano i loro lavori in Asia. Una squadra è al confine tra le Coree per discutere gli aspetti tecnici del disarmo nucleare, un'altra a Singapore per definire la logistica del summit. Entrambe vedranno in queste ore gli omologhi di Pyongyang.  

Da questi incontri dovrebbe uscire il responso: Singapore sì, Singapore no. Molti commentatori sottolineano come il tempo per arrivare nella città Stato con una bozza significativa di accordo sia pochissimo. Il rischio, specie per gli Stati Uniti, è regalare a Kim una legittimazione da potenza nucleare ottenendo in cambio solo generici impegni al disarmo. Una prospettiva che, per inciso, non dispiacerebbe a Pechino. Nelle ultime ore sia gli Stati Uniti che il Giappone hanno ribadito che prima di passi concreti e verificabili verso la denuclearizzazione, la politica di "massima pressione" verso Pyongyang a base di sanzioni continua. Tokyo ha denunciato una nave cinese che, in violazione dell'embargo, avrebbe rifornito al largo delle coste nordcoreane un'imbarcazione locale. Ma a dispetto di rischi e dubbi sia Trump sia Kim, stando agli scambi di cortesie dei giorni scorsi, sembrano avere la volontà di vedersi.