Esteri

Liegi, il killer aveva già ucciso. Legami con l'islamismo radicale

Il ministro degli Interni belga conferma: Herman aveva commesso un altro omicidio prima di uccidere in strada due poliziotte e uno studente. L'Isis rivendica: "Era un nostro soldato"

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BRUXELLES - Un uomo violento, che aveva già ucciso a poche ore dalla strage di Liegi e che sarebbe stato in contatto con un reclutatore islamista. Le forze di polizia continuano a seguire la pista del terrorismo per capire cosa abbia spinto il belga Benjamin Herman due ausiliarie di polizia e un passante di 22 anni al grido di Allah Akhbar nel centro della città vallona. Herman era un piccolo criminale di 35 anni, senza più rapporti con la famiglia, originario del paesino della birra trappista Rochefort e in carcere a Marche-en-Famenne dal 2003 per reati comuni legati a furti e droga. Proprio in cella avrebbe sposato la fede musulmana fino a radicalizzarsi. "Un emarginato, ma non un ragazzo cattivo anche se a volte aveva degli scatti di violenza", raccontavano i suoi ex compagni di detenzione. Una storia che mischia malavita, violenza, emarginazione e rabbia incanalate nella radicalizzazione e sfociate nell'attacco terroristico. A confermarlo è arrivata, un giorno dopo l'attacco, la rivendiazione dell'Isis: "Era un soldato dello Stato islamico", scrive l'agenzia del Califfato Amaq.
 
Lunedì Herman aveva beneficiato del 14esimo congedo penitenziario, uscite insieme a 11 permessi giornalieri utili al suo reinserimento nella società in vista della scarcerazione per fine pena prevista nel 2020. Una leggerezza per un detenuto schedato tra i radicalizzati dalle forze dell'ordine locali, che però dopo le prime ricostruzioni hanno smentito che fosse nei database parlando giusto di una sua presenza indiretta in tre dossier. Si giustificava il ministro della giustizia, Koen Geens: "Era già uscito 13 volte, era difficile immaginare che la 14esima sarebbe andata male".
 
Fatto sta che il killer di Liegi voleva dare la caccia alla polizia, di questo sono convinti gli inquirenti. Il perché non è ancora chiaro. Nella notte tra lunedì e martedì Herman ha ucciso un suo ex compagno di carcere, Michael Wilmet: lo ha confermato il ministro dell'Interno belga Jan Jambon. Si parla anche di una rapina a una gioielleria di Rochefort messa a segno proprio in quelle ore. Quindi ieri mattina il gesto eclatante: accoltella alle spalle le due agenti di polizia, due madri di famiglia, poi finite a colpi di arma da fuoco esplosi proprio con le pistole rubate dalle loro fondine. Sul selciato del Boulevard d'Avroy, nel centro di Liegi, restano Soraya Belkacemi (45 anni), madre di due gemelle di 13 anni già orfane di padre, e Lucile Garcia (54 anni), un figlio 25enne.
 
Il killer si dà alla fuga, durante la quale uccide Cyril Vangriecken, un ragazzo di 22 anni prossimo alla laurea in pedagogia: era in auto con la madre, stavano andando a consegnare la tesi in università ma hanno incrociato il killer che ha aperto il fuoco sul loro veicolo. Vestito di nero, urlando tra le strade ormai deserte (da un balcone una donna lo apostrofa con un "vaffa" in italiano), si rifugia nella scuola Léonie de Waha, dove prende in ostaggio una signora delle pulizie. Ma viene ucciso dai colpi sparati dagli agenti in una sparatoria da far west durante la quale, con le armi sottratte alle prime due vittime, ferisce 4 poliziotti alle gambe e alle braccia.
 
Scattate le indagini, gli inquirenti trovano una copia del Corano e un tappetino per pregare nella sua cella. Dunque ancora il Belgio, Paese con un difficile rapporto con l'integrazione (basti pensare al caso Molenbeek), già colpito da una strage proprio a Liegi nel 2011 e ancora dagli attentati di Bruxelles del 2014 e del 2016 ora si interroga sul fenomeno della radicalizzazione in carcere, sempre più diffuso.