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Civati: "Difficile allearsi con chi vuole un altro Jobs Act"

Gli accordi che potrebbero nascere nei collegi hanno aperto un dibattito su com'è possibile battere l'onda populista

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ROMA - "Niente trattative né programmi. Al momento non esiste nessuna sede per discutere concretamente di scelte comuni". È negativo più che mai Pippo Civati, ex sodale di Matteo Renzi (organizzò con lui la prima Leopolda), uscito dal Pd nel 2015 per fondare Possibile, unito alla Camera in gruppo con Sinistra italiana.

Civati, perché non crede nella trattativa del Pd per un accordo tecnico con la sinistra nei collegi?
"Perché mi sembra che il percorso proposto favorisca la divaricazione piuttosto che l'unità. Non a caso anche Pier Luigi Bersani l'ha smentita molto elegantemente. Escamotage tecnici avrebbero come risultato quello di raddoppiare i voti del M5s. Nessuno crederebbe a un'operazione raccogliticcia che mette insieme simboli collegio per collegio".

Sarebbe favorevole a un patto di desistenza?
"Nemmeno, oltretutto tecnicamente è impossibile da attuare con il Rosatellum, perché la presenza nei collegi uninominali è vincolata al partito che ti esprime. O si fa un'alleanza politica vera e propria con il Pd o è difficile immaginare qualunque altro tipo di accordo".

Matteo Renzi si è detto pronto ad aprire sul lavoro. Pensa sia sincero?
"Non credo che il segretario del Pd di punto in bianco si trasformi nel Corbyn italiano. Soprattutto dopo quanto ha ribadito da poco in tv, ovvero che al Paese servirebbe un altro Jobs Act".

Quali sono le richieste del la sinistra su questi temi?
"La prossima settimana chiediamo di reintrodurre l'articolo 18. Il Pd è disponibile a fare una riflessione sulle garanzie dei lavoratori? Sulle grandi scelte economiche, come la progressività fiscale, è pronto a rimettersi in gioco? Queste sono le domande a cui Renzi e i suoi devono dare risposte se vogliono fare sul serio".

Il segretario del Pd non le pare credibile come uomo di mediazione?
"Ha fatto scelte contrarie a ogni ipotesi di ricostruzione del centrosinistra da quando è arrivato a Palazzo Chigi. In questo momento non vedo molti sbocchi, anche se alcuni esponenti del partito, da Andrea Orlando a Michele Emiliano, sebbene in ritardo cominciano a farsi domande. Ai dem servirebbe una nuova leadership e una nuova politica, ma in tre mesi è difficile metterle in piedi".

E allora il centrosinistra è destinato alla sconfitta?
"Se il Pd è così convinto di perdere, allora cambi impostazione, apra una riflessione critica e si confronti seriamente sui contenuti. Altrimenti rimane un discorso senza costrutto, buono solo a riempire pagine di giornali".

Se si partisse proprio dalle estreme conseguenze della divisione, sarebbe disponibile al confronto ?
" Si, ma allora la discussione andrebbe fatta più in profondità, non basta un ordine del giorno della direzione Pd con un'apertura generica da parte di Renzi".

Che ne pensa del contropiede di Laura Boldrini all'assemblea di Giuliano Pisapia?
"Dalla presidente della Camera è arrivata la nostra stessa richiesta di cambiamento. Pisapia ieri non ha fatto che ribadire la solita nota in cui afferma che bisognerebbe stare insieme. Ma non si sa a quali condizioni".
 
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