Politica

- 8 giorni alla nuova Repubblica: prima immagine della campagna pubblicitaria del giornale

E' un vero e proprio ritratto dell'Italia quello che emerge dalla campagna pubblicitaria che lancia la nuova Repubblica: il ritratto di un Paese bifronte, sospeso in un tempo indefinito, prigioniero dell'eterno ritorno del passato; guidato da partiti nati per unire e che invece sono più lacerati che mai; tentato da facili scorciatoie populiste; incerto davanti a diritti che dovrebbero essere fondamentali e che invece sono ancora assenti. Ma in una realtà sempre più complessa c'è sempre una possibilità di scelta, c'è sempre un bivio di fronte al quale il cittadino può decidere: quale strada imboccherà dipenderà dalla sua storia, dai suoi valori e soprattutto dalla conoscenza. Il primo atto per scegliere, dunque, è scegliere il giornale che sappia informarlo con libertà, accuratezza, spregiudicatezza. Un giornale tutto nuovo, come Repubblica in edicola dal 22 novembre. Ceccarelli racconta una delle foto scelte per il lancio: Berlusconi tra passato e futuro

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BERLUSCONI Silvio, come nell'appello a scuola: presente. Il giorno prima delle sue ultime e già annunciate dimissioni, 10 novembre 2011, disse con qualche solennità: "Mi resta una consolazione, di essere stato il premier più longevo della storia...". E già, l'interruppe l'allora direttore della Stampa (ora di Repubblica), se arrivava alla fine della legislatura avrebbe battuto anche Giovanni Giolitti. "Ma io intendevo della storia repubblicana", replicò velocissimo Berlusconi. Poi tacque un attimo: "Questa di Giolitti non la sapevo. Peccato, peccato davvero. Vabbè, buona notte".

Anche Giolitti comunque era uno che ritornava. La ricomparsa, la ricorrenza, la ripresentazione è una caratteristica della storia politica. Non tutti, ma i grandi leader italiani tendenzialmente vanno e vengono. Non a caso Fanfani fu detto "il Rieccolo". Per uno dei tipici misteri della Prima Repubblica l'ultimo suo governo, nel 1987, farcito di tecnici fra cui uno studioso d'insetti, era stato creato per durare pochissimo, e fu un'impresa abbatterlo. Mentre Andreotti con la stessa imperturbabilità con cui finiva "in panchina", regolarmente se ne rialzava per guidare ora governi monocolori, ora governi di centrodestra, ora governi di solidarietà nazionale appoggiati dal Pci e infine governi, per così dire, del Caf.

Nella Seconda Repubblica i tempi sono più veloci e compressi, ma forse il Cavaliere ha già superato i vecchi record democristiani. Il mese scorso Giuliano Pisapia ha fatto appello ai suoi ricordi infantili per richiamare un indimenticabile pupazzo dei Caroselli, "Ercolino sempre in piedi". In effetti già nel 2010 un gommoso e inatterrabile simulacro di Berlusconi in costume da pugile era stato commercializzato come analogo punching-ball da un'azienda per la linea Extreme design.

Ora, davvero non si vorrebbe esagerare, tanto meno scomodando i santi numi della letteratura. Ma se c'è un uomo politico vivente cui potrebbe adattarsi lo sprint epico del settenario manzoniano, beh, è Silvione: "Tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il triste esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar". Che poi, a pensarci, le volte potrebbero essere perfino tre - e magari quattro con la prossima. Con il che, a parziale riequilibrio, ma certo non a conforto, può venire in soccorso solo l'altro grandissimo dell'Ottocento, Leopardi: "Piangi, che ben hai donde, Italia mia".

Oltretutto, l'ultima volta sembrava davvero quella buona, nel senso di terminale, definitiva. Basti il ricordo di piazza del Quirinale: l'orchestra "Resistenza Musicale Permanente" eseguì l'Alleluia di Handel; nel cielo terso si stagliava un immenso pallone "Chiquita Banana"; un cronista di questo giornale riportò di aver visto e sentito un crocchio di giovinastri che all'indirizzo di Berlusconi, per estremo ed irreale dileggio, si era messo a schiamazzare: "Fro-cio! Fro-cio!".

Suoni d'archi, urla festanti, tapiri giganti, insulti e mobilitazione non proprio amichevole. Al momento non si seppe, ma quella sera, fra le 23 e l'una, Palazzo Grazioli venne evacuato, di nascosto, dall'uscita posteriore. E allora? E dunque? "Rimuovere in fretta il passato è tipico degli italiani - ha osservato con particolare riguardo a quanto può succedere sul piano politico lo psicologo Luigi Zoja - Nel caso di Berlusconi il confine con l'accettazione è labile, siamo il paese del vabbè, incarnato perfettamente da un personaggio come Alberto Sordi. Il passato viene sdoganato periodicamente come un condono".

Anche per questo, forse, il futuro è un'incognita ad alto e desolatissimo, ma anche buffo tasso di prevedibilità: dalla ripresa delle promesse miracolistiche al ripristino del conflitto d'interessi, dalla riattivazione della guerra con la magistratura alla riapertura degli affari energetici con Putin senza dimenticare gli inesausti tormentoni (peraltro in parte già ridestati) a base di dieta, chili persi, capelli riguadagnati, anni invertiti e scontati (18 candeline invece di 81 sull'ultima torta), nuove ville acquistate, ulteriori cuccioli acquartierati, inedite entrate femminili a corte e successive gelosie di Francesca Pascale.

Il deja-vu come quintessenza del potere e della sua pubblica, sempre più trafelata ostentazione. L'immutabile cronaca e le novità a scarto ridotto come destino senza vie di fuga. Quindi, ora e sempre Gianni Letta e via con la massiccia campagna per tirare fuori Dell'Utri e Corona; poi, magari, anche la conversione dell'Ape regina, il perdono a Emilio Fede, il ritorno di Pera (del resto già divenuto presidente del Lucca calcio), il recupero misericordioso di Alfano e Fitto, la rivincita di Lele Mora, la riabilitazione di Scajola, un monumento alla memoria di don Verzè e la candidatura di Alfonso Signorini all'Accademia dei Lincei. E il governo: Briatore al Turismo, Razzi sottosegretario agli Esteri con delega per l'estremo oriente, si vedrà, tutto d'altra parte si è già visto, e nulla sembra in Italia più ridicolo e vano dell'incredulità.

Così, passato e futuro si confondono sul volto posticcio e ancor più fra le mani di Berlusconi. Su una terrazza romana, quest'estate, l'hanno sentito proporre a Bruno Vespa un numeretto niente male: potrebbe entrare nello studio di Porta a porta triste, malconcio, sorretto dalle stampelle e poi, sotto le luci, con la musica e gli applausi, gettarle via con un sorriso dei suoi, oh miracolo! miracolo!
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