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In Cina l'app italiana che permette ai non udenti di telefonare

In Cina l'app italiana che permette ai non udenti di telefonare
Consente alle persone sorde di chiamare un call center o un numero di emergenza, traducendo il testo che digitano in voce e la voce dell'operatore in testo. In Italia conta 22 mila utenti e ora tenta la strada di Hong Kong e Pechino
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PECHINO – Tutto è cominciato con una mail, di quelle che mandi con poche speranze, per non lasciare nulla di intentato. I ragazzi di Pedius avevano letto che una coppia di Honk Kong, entrambi non udenti, si era ritrovata i ladri dentro casa senza riuscire a chiedere aiuto alla polizia. “Abbiamo scritto al ministero dell’Interno dicendo: noi abbiamo la soluzione - racconta Lorenzo Di Ciaccio – e ci hanno risposto interessati”. La soluzione è Pedius, l’app che questo 33enne romano ha lanciato quattro anni fa. Permette alle persone non udenti di gestire delle telefonate, per esempio con un call center o un numero di emergenza, traducendo il testo che digitano in voce e la voce dell’operatore in testo. Così, dopo diversi incontri con autorità e associazioni, gli algoritmi di Pedius sono stati istruiti in cinese e cantonese (il dialetto del Sud), lanciati sui negozi di app di Hong Kong e proposti in test a un piccolo gruppo di utenti.

A fine dicembre si tireranno le somme, spiega Di Ciaccio. Se il responso sarà positivo la startup italiana è già pronta alla promozione attraverso gli immancabili “influencer” locali, come regole del marketing cinese comandano: anche la comunità dei non udenti ha i suoi. Nell’idea dell’imprenditore la fermata nell’ex colonia britannica è solo una tappa, prima di provare il grande salto verso la Cina continentale. “Un terzo della popolazione sorda dal mondo vive lì”, spiega Di Ciaccio, convinto che entrando sul territorio del Dragone Pedius potrebbe esplodere. Al momento ha 22 mila utenti, soprattutto in Italia, abbastanza considerata la nicchia a cui si rivolge (da noi i non udenti sono 70mila), pochini per la crescita esponenziale che si richiede a una startup. In Cina la stessa “nicchia” è composta da 20 milioni di persone.

Facile a dirsi, non a farsi. Perché il mercato hi-tech cinese è lontano, difficile e assai competitivo. E perché la grande muraglia di protezionismo è altissima, in particolare in tutto che riguarda il terreno, sensibilissimo per il regime, delle telecomunicazioni. A Hong Kong Internet è libero e una startup come Pedius può lanciare il suo prodotto senza chiedere alcun tipo di autorizzazione; oltre la frontiera che la separa da “mainland China”, spiega Di Ciaccio, ha bisogno di chiudere una partnership con una società locale, magari un mastodontico colosso di Stato a cui consegnare la maggioranza della joint venture locale.

Per questo finora, nonostante un mercato digitale sconfinato e in rapida espansione, pochissime startup italiane hanno provato l’avventura in Estremo Oriente. “In Cina è indispensabile investire per crescere e durare, viste le negoziazioni lunghe e complesse”, spiega Francesco Lorenzini di Tech Silu, società basata a Pechino che assiste le piccole imprese italiane, tra cui Pedius e la startup dei satelliti D-Orbit, che tentano di scavalcare la muraglia. “Una volta partiti però le opportunità sono molte, come l’adattabilità dei cinesi alle nuove tecnologie e la disponibilità dei grandi conglomerati industriali a investire”.

Per facilitare l’iter Pedius sta provando a far leva sulla sua natura di startup a vocazione sociale, la cui prima missione non è il profitto, un settore che piano piano comincia ad affacciarsi anche in Cina. Il livello di assistenza nei confronti dei cittadini con handicap è ancora molto basso e i non udenti non fanno eccezione: “A Pechino ci sono appena 20 interpreti del linguaggio dei segni, i tempi di attesa per una videochiamata (il canale tradizionale usato per interagire con i call center, ndr) arrivano oltre l’ora”.

Quanto al partner, Pedius ha avviato dei colloqui con iFlyTek, colosso cinese dell’intelligenza artificiale applicata al riconoscimento vocale. “Hanno il migliore motore semantico della Cina, in gradi di gestire tutti gli accenti e i dialetti, inoltre lavorano già molto con gli ospedali, che per noi sono un potenziale cliente”, spiega Di Ciaccio. Sa che la strada sarà lunga per convincere un gigante miliardario ad allearsi con una piccola azienda italiana. Racconta di uno strano, per noi, modo di negoziare, che oscilla tra familiarità e aggressività. “Ci devi credere molto, è come scalare una montagna sconosciuta. Ma imprenditore sociale significa anche questo, che non devi fare profitti subito”.