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I concorrenti di MasterChef a lezione di cucina Kosher

I concorrenti di MasterChef a lezione di cucina Kosher
Alla vigilia della Giornata della Memoria, creata per non dimenticare la piaga della persecuzione degli ebrei durante il nazifascismo, il programma di Sky Uno dedica parte della sesta puntata alle regole della Kasherut
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Per la prova in esterna del 25 gennaio il talent dei fornelli chiede agli aspiranti cuochi una grande responsabilità. I giudici Antonia Klugmann, Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Antonino Cannavacciuolo convocano i concorrenti in un lussuoso hotel di Milano dove, divisi in due brigate, devono preparare un pranzo per la celebrazione del Bar Mitzvah - la cerimonia per festeggiare il passaggio all’età adulta, fondamentale nella religione ebraica - del tredicenne Danny. Indispensabile dunque per gli aspiranti chef seguire alla lettera i dettami della Kasherut, cioè l'insieme delle regole che determinano se un cibo è idoneo o meno.
Ma cosa comporta questa responsabilità? L’aggettivo kasher o kosher, che significa adatto, conforme, opportuno, indica quei cibi che si possono consumare appunto perchè conformi alle regole; il contrario di kasher è taref.

Le squadre cucinano in una cucina che è stata “kasherizzata” (sottoposta cioè a una sorta di pulizia di strumenti - forno, fornelli - e attrezzi - coltelli, taglieri, piccoli elettrodomestici, etc… con la supervisione di un rabbino) con materie di ciascuna pietanza prime  la cui preparazione e il cui rifornimento sono stati seguiti da due garanti preposti, i “mashghiah", a cui spetta anche il controllo dei fuochi e la supervisione per ogni aggiunta di ogni ingrediente.

Ortodossia a parte, in un periodo in cui si affermano la fobia della contaminazione igienica (tra ogm, allergie e scelte etiche) e l'attenzione alla provenienza del cibo che arriva nel piatto, il mercato di cibo kosher sta vivendo anche tra i non ebrei un vero exploit. Per esempio, negli Usa, da un'indagine del gruppo Mintel, soltanto il 15 per cento di chi compra kosher lo fa per convinzione religiosa. Le altre ragioni? Principalmente la qualità e la percezione di salubrità. Molte catene prestano attenzione a linee kosher (e halal per i musulmani), incluse Wal-Mart, Costco e Trader Joe's e FreshDirect.
Per i consumatori insomma kosher sta diventando sinonimo di purezza e genuinità, perché questi prodotti sono di sicuro stati oggetto di scrupolosi controlli.  

E questo aiuta nella spesa anche chi magari soffre di intolleranze alimentari o coloro che, come i vegani, hanno escluso la carne e i prodotti di origine animale dalla propria dieta. Infatti nelle disposizioni della kasherut molti ingredienti non possono coesistere nella stessa preparazione e il marchio kosher assicura che nel cibo non ci siano, nemmenoe in minima percentuale, elementi di derivazione indesiderata. Qualche esempio? I biscotti possono contenere un emulsionante non kosher estratto da grassi animali; le patatine possono essere fritte in olio raffinato negli stessi impianti di raffinazione di grassi animali.


Inoltre, il cibo kosher deve essere preparato con attrezzatura anch'essa kosher. Strumenti da lavoro e macchinari devono essere "kasherizzati" con un particolare processo di pulizia.

Le regole alimentari ebraiche si basano sui precetti biblici, contenuti in particolare nei libri del  Levitico e del Deuteronomio, con piccole variazioni da comunità a comunità secondo le interpretazioni dei diversi collegi rabbinici. Ci sono poi imprescindibili norme comuni: in primis la divisione tra animali proibiti e quelli di cui è consentito cibarsi.Non tutti i prodotti ittici si possono mangiare: no a specie senza pinne o squame (quindi vietati molluschi, crostacei e frutti di mare, ma anche pesce spada e squalo). I volatili sono commestibili tranne i rapaci (come aquile o gufi ma anche struzzi). Le carni vietate sono il maiale e il coniglio e in generale tutti quelli on unghia o zoccolo non fesso, quindi no al cavallo (e cammello). Esclusi i rettili, tra cui si annoverano le anguille.
Frutta, verdura e in generale quanto deriva dalle piante ha il via libera. Stando ben attenti a mondarla dagli insetti, impuri.

Inoltre non si possono mischiare, e quindi cucinare insieme, carni e latte ("non cuocerai il capretto nel latte di sua madre"). Non si può allora usare il latte (o uno dei suoi derivati, come panna o burro) nella preparazione di carni, siano bovine, caprine, ovine o avicole.  Addirittura, gli ebrei osservanti hanno due servizi di piatti e stoviglie diversi, scomparti distinti in frigorifero, ed anche spugne per il lavaggio separate.

Un pasto che si rispetti è accompagnato da un buon bicchiere di vino? Anche per la vinificazione si devono seguire precise norme. È un rabbino ad avere la responsabilità di ogni passaggio di trasformazione dell'uva dalla vigna alla bottiglia. Non può contenere elementi proibiti, come grassi, vitamine, conservanti ricavati da animali proibiti (al massimo è ammessa la chiarificazione con albume) o elemento di lievitazione, e deve essere lavorato esclusivamente da ebrei. Questo perché il vino che si usa per santificare il Sabato e altri momenti solenni della vita religiosa, non doveva correre il rischio di contaminarsi con uva o altri vini usati da altri popoli per celebrare divinità pagane.

Dopo tutta questa serie di regole e divieti si potrebbe pensare alla tavola kosher come a un momento di restrizioni e non di gioia. Non è così. I piatti della tradizione ebraica, diversi a seconda delle regioni, sono ricchi di gusto e alcune specialità sono tra le più famose della cultura gastronomica italiana, basti pensare ai carciofi alla giudea tipici di Roma, alla torta d'erbi ferrarese o ai salumi d'oca di Mortara. Una miniera di sapori che fanno parte integrante della tradizione della Penisola e sono patrimonio di tutti noi.