Mondo Solidale

India, tempeste di sabbia e alluvioni: i poveri pagano la crescita dei ricchi

Oltre 150 morti in India, 700 mila sfollati nel Corno d’Africa. L’appello della Conferenza episcopale indiana e la denuncia di Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile: “Il cambiamento climatico potrebbe segnare il più catastrofico fallimento della storia dell’economia di mercato: va affrontato regolando i meccanismi del mercato”

2 minuti di lettura
ROMA – Tempeste di fulmini e sabbia con oltre 150 morti in due Stati indiani, il Rajasthan e l’Uttar Pradesh. Settecentomila sfollati in Kenia e Somalia per le piogge che hanno interrotto con disastrose alluvioni mesi di siccità. Il termometro che a Nawabshah, nel sud del Pakistan, ha superato i 50 gradi, una temperatura del tutto anomala in questo periodo, come ha sottolineato L’Organizzazione meteorologica mondiale. E’ un maggio in linea con le previsioni su un cambiamento climatico destinato ad accelerare finché non smetteremo di far salire la concentrazione di CO2 nell’aria, bruciando combustibili fossili e tagliando foreste. Un disastro che si comincia già a misurare, con i danni maggiori concentrati nelle regioni storicamente meno colpevoli, quelle in cui l’invasione dei camini industriali e delle auto è arrivata solo recentemente.

Un trend positivo che s'è interrotto. Di fronte a questo scenario, ci si potrebbe tranquillizzare pensando che per tre anni le emissioni serra sono rimaste al palo, un buon segnale determinato soprattutto dalla riconversione cinese: Pechino – pur restando l’inquinatore globale numero uno - sta puntando con decisione sull’aumento dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Nel 2017 però il trend positivo si è interrotto e le emissioni serra sono tornate a crescere, paradossalmente proprio a causa del caos climatico che ha provocato alterazioni del ciclo dell’acqua e dunque una minore produttività delle centrali idroelettriche di Pechino, che ha compensato aumentando leggermente la produzione elettrica da carbone.

La crescita dei gas. Dunque fatichiamo a fermare la crescita dei gas che alterano il clima e inoltre fermarsi non basta. Mantenere invariato un flusso che sta facendo saltare l’equilibrio dell’atmosfera non è sufficiente. Il mese scorso la concentrazione media di CO2 nell’atmosfera è stata - in base ai dati raccolti nel Mauna Loa Observatory delle Hawaii - di 419 parti per milione: per la prima volta nella storia è stato superato il livello di 410 parti di anidride carbonica per milione, con un incremento del 30% rispetto al 1958, l’anno in cui queste misurazioni sono cominciate.

Come invertire il processo. E’ una situazione in cui appare di grande attualità il suggerimento della Conferenza episcopale indiana (“Gli eventi di questi giorni sono un’occasione per pensare e riflettere in modo serio sul tema del cambiamento climatico, così come papa Francesco ci ha invitato a fare nella ‘Laudato sì’”): si tratta non solo di tirare il freno, ma di invertire il processo. Cioè di puntare con forza su un sistema produttivo capace di tenere assieme stabilità ambientale, stabilità economica, stabilità sociale, stabilità occupazionale.

I cinque rischi principali. E’ un passaggio non più rinviabile, come spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in un libro che uscità domani, La transizione alla green economy: “Il rapporto sui rischi globali del 2018 del World Economic Forum di Ginevra (The Global Risks Report) pubblica una mappa dell’evoluzione dei cinque principali rischi globali dal 2008 al 2018. Nel 2008, fra i primi cinque non c’era alcun rischio ambientale. Nel 2018, fra i cinque maggiori rischi globali, ben tre sono ambientali: eventi atmosferici estremi, disastri naturali e fallimento della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico. In soli dieci anni il World Economic Forum, un’iniziativa internazionale di riferimento del mondo del business, ha registrato un avanzamento rapidissimo dei rischi globali ambientali”.

Il fallimento dell'economia di mercato. Per affrontarli bisogna superare una sfasatura geografica e temporale: il costo delle emissioni serra non ricade direttamente su chi le genera ma si distribuisce nel tempo e nello spazio, gli effetti dell’inquinamento possono ripercuotersi a migliaia di chilometri di distanza o dopo una generazione. Per questo, conclude Ronchi, i prezzi attuali dei combustibili fossili non indicano i costi reali che si devono e si dovranno pagare per il loro uso: “Il cambiamento climatico potrebbe segnare il più catastrofico fallimento della storia dell’economia di mercato: può essere affrontato solo con impegnative politiche e misure in grado di regolare e indirizzare opportunamente i meccanismi del mercato. La più nota fra queste misure è l’attribuzione di un prezzo adeguato alle emissioni di carbonio, con meccanismi di carbon tax”.