Mondo Solidale

Pena di morte, nell'Arkansas un giudice rischia di essere cacciato perché contrario alle esecuzioni

Il report di Nessuno Tocchi Caino. Otto esecuzioni capitali in Iran. Commutata una condanna a morte in Arabia Saudita in 6 anni di carcere e 500 frustate

5 minuti di lettura
ROMA - Nello Stato dell'Arkansas (Usa) un giudice rischia di essere sollevato dal siu ruolo (ancorché eletto dai cittadini) per aver partecipato ad una manifestazione contro la pena di morte. La Commissione Disciplinare Giudiziaria (JDCC) dello Stato nel Sud degli Stati Uniti - si apprende dal sito di Nessuno Tocchi Caino -  ha presentato le sue accuse formali contro il giudice Wendel Griffen, della Pulaski County per essersi esposto con i movimenti che si battono per l'abolizione della pena capitale. L''accusa potrebbe risultare nella sua sospensione o rimozione dall''ufficio. Griffen, 65 anni, nero, che è anche un Pastore Battista della New Millennium Church, il 14 aprile dell'anno scorso (era Venerdì Santo) poche ore dopo aver emesso un'ordinanza che sospendeva le esecuzioni nello Stato, aveva partecipato in prima persona ad una manifestazione contro la pena di morte, che si era svolta davanti agli uffici del Governatore.

Il giudice che mima l'esecuzione di un condannato. Nel corso di quella manifestazione, il giudice, adagiato su una brandina da campo, avrebbe mimato un condannato a morte in attesa dell’iniezione letale. Tre giorni dopo, la Corte Suprema ha prima annullato la sua ordinanza (poi ripresa da un altro giudice, e anche quella annullata dalla Corte Suprema), e subito dopo ha disposto che da quel momento in poi il giudice Griffen non dovesse più trattare, per sempre, casi che avessero in oggetto i farmaci letali o comunque la pena di morte. La Corte aveva inoltre deferito Griffen a una commissione disciplinare, la “Judicial Discipline and Disability Commission”. Griffen aveva reagito alla dura reprimenda della Corte Suprema sia avviando un’azione legale davanti a una corte federale contro i singoli membri dell Corte Suprema, sia sostenendo che fosse un attacco alla sua libertà di giudice eletto dai cittadini, motivato soprattutto dal fatto che lui fosse un uomo di colore.

"Libertà di parola sì, ma poi ti devi dimettere". I tre membri della Commissione incaricati di seguire il caso hanno citato la sua partecipazione alla manifestazione, oltre i commenti che aveva fatto on line e sui social media contro la pena di morte. "Il giudice Griffen - hanno affermato i membri della Commissione - ha il diritto alla libertà di parola, ma una volta rivendicata la sua libertà di parola di opposizione alla pena di morte, aveva l'obbligo di ricusarsi (astenersi) da ogni caso riguardante la pena di morte". Griffen il 17 aprile 2018 ha di nuovo messo in scena la sua manifestazione fuori dalla villa del governatore, durante una veglia per celebrare il primo anniversario delle 4 esecuzioni che l''Arkansas ha effettuato l'anno scorso. Griffen ha 30 giorni di tempo per rispondere alle accuse e avrà un'udienza di fronte alla Commissione riunita in plenum e se questa accoglierà le accuse, potrà raccomandare alla Corte Suprema di Stato di sospendere o rimuovere Griffen. In subordine, potrebbe anche emettere un ammonimento pubblico, cioè rimproverare o censurare il giudice Griffen.

IRAN

Otto condanne a morte
. La Corte Suprema iraniana, a Teheran, ha confermato le condanne a morte per otto membri del gruppo terrorista Daesh (o ISIS), accusati di avere avuto un ruolo organizzativo negli attacchi terroristici a Teheran nel giugno 2017. Lo ha comunicato alla stampa il capo del Tribunale rivoluzionario di Teheran, Mousa Ghazanfarabadi. Ha aggiunto che la Corte Suprema ha stabilito che la pena capitale è commisurata alla loro condanna per "aiuto e favoreggiamento" di un'azione violenta contro il potere costituito. Il 7 giugno 2017, i terroristi di Daesh hanno lanciato attacchi simultanei contro il palazzo del Parlamento iraniano nel centro di Teheran e al mausoleo del defunto fondatore della Repubblica Islamica, Imam Khomeini. Gli attacchi causarono la morte di 17 persone e più di 40 feriti. Cinque  terroristi furono uccisi. 

ARABIA SAUDITA

Annullata l'esecuzione della pena per una donna. Una cittadina indonesiana, Nurkoyah binti Marsan Dasan, ha vinto una battaglia, durata 8 anni, per sfuggire alla pena di morte dopo essere stata accusata di aver ucciso un bambino di 3 mesi in Arabia Saudita. Secondo una dichiarazione dell''Ambasciatore indonesiano in Arabia Saudita, il Paese ha annullato la pena di morte per Nurkoyah, una notizia che arriva subito dopo quella dell’annullamento della pena di morte per altri 2 indonesiani il 7 maggio 2018. Nurkoyah era stata accusata di aver ucciso un bambino di 3 mesi, Masyari bin Ahmad al-Busyail, dopo aver messo deliberatamente nel suo latte droghe e veleno per topi. Dopo aver attraversato un lungo e difficile processo dalla data del suo arresto, il 9 maggio 2010, la donna ha finalmente avuto la certezza del rigetto da parte del giudice della richiesta di pena di morte il 31 maggio scorso. Il verdetto è giuridicamente vincolante e ha segnato la fine del processo.

La condanna commutata in 6 anni di carcere e 500 frustate. Durante l'udienza, il giudice ha respinto la "had ghilah" (la pena di morte, appunto) e ha deciso al suo posto la "ta zir" (una specie di punizione disciplinare) con una condanna a 6 anni di carcere e 500 colpi di frusta. La decisione è basata sulla confessione fatta da Nurkoyah all’inizio dell''indagine, anche se in seguito l’ha ritirata dicendo che era stata fatta sotto pressione. Il padre del bambino, Khalid Al-Busyail, ha quindi intentato una causa per “qisas” (vendetta) contro Nurkoyah. Il giudice del Tribunale distrettuale di Dammam ha respinto la condanna a morte perché lei ha negato le accuse e il padre non è stato in grado di presentare altre prove a sostegno della richiesta.

SOMALIA

Pena di morte e progetto-terrorismo. L'organizzazione Nessuno tocchi Caino ha tenuto una serie di incontri, a distanza di un anno dall’avvio del progetto “Contenere la pena di morte in tempo di guerra al terrorismo in Somalia, Tunisia ed Egitto”, a Nairobi, in Kenya, per fare una valutazione del lavoro svolto in Somalia. Con una riunione svoltasi presso la sede della Somali Women Agenda, tra Elisabetta Zamparutti e Laura Harth, per Nessuno tocchi Caino e Hibo Yassin, Beatrice Kamanan, Patrick Onyango, Duncan Njorge e Smitangi per la Somali Women Agenda, si è deciso di presentare i risultati di questo primo anno di attività alla fine di luglio a Mogadiscio. E’ stato infatti possibile visitare le carceri, tanto civili che militari, di Mogadiscio e di Baiboa e altre sono in programma per raccogliere dati sui detenuti nel braccio della morte in Somalia.

Un aumento delle esecuzioni. Il monitoraggio è svolto in partnership con il Capo dell’Amministrazione penitenziaria somala, Gen. Bashir. In base alla ricerca, nel 2017, si è registrato un aumento delle esecuzioni, almeno 24, la maggior parte (21) per terrorismo. Altrettante sono state le condanne a morte pronunciate nel corso dell’anno. Almeno 12 delle 24 esecuzioni sono avvenute sotto l’autorità del Governo federale (9 per terrorismo) e 12 nel Puntland, tutte per terrorismo. Tanto le 24 condanne a morte che le 24 esecuzioni sono state comminate da tribunali militari, per lo più nei confronti di civili, fatte salve le tre condanne a morte e altre tre esecuzioni di appartenenti a forze armate in Somalia. Un successivo incontro tra Nessuno tocchi Caino e la Somali Woman Agenda si è svolto presso l’Unione Europea dove si è appreso che una Corte, istituita grazie agli sforzi dell’UNODC (United Nation Office on Drugs and Crime) e di altri donatori governativi, come il Regno Unito, l’Olanda e la Danimarca, è stata costruita a Mogadiscio per trattare tutti i casi di civili che, ritenuti responsabili di atti di terrorismo o di pirateria, altrimenti sarebbero giudicati impropriamente dalle Corti militiari.

AUTORITA' NAZIONALE PALESTINESE

Verso l'abolizione delle pene capitali. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha firmato l’adesione dello Stato di Palestina a 7 convenzioni e trattati internazionali, incluso il secondo protocollo facoltativo del 1989 al Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), mirante all'abolizione della pena di morte. Il Centro palestinese per i diritti umani (PCHR) ha commentato positivamente l'adesione al protocollo ICCPR, ed ha sottolineato che si tratta di un passo nella giusta direzione che deve ora essere seguito dalle appropriate misure legislative. In una dichiarazione, il PCHR ha affermato che dal suo insediamento nel 1995, il centro si è opposto all'uso della pena di morte nel territorio palestinese occupato (oPt) e ha invitato la leadership palestinese in molte occasioni e ogni volta che veniva emessa una nuova condanna a morte ad abolirla e firmare il relativo protocollo internazionale.

Condanne senza appello e scarse tecniche investigative. Il PCHR ha sempre criticato l’uso della pena di morte da parte della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per la scarsa qualità delle tecniche investigative e le scarse garanzie per un giusto processo, circostanze a cui si deve aggiungere l’inumanità stessa della pena di morte, e la sua inefficienza come elemento di deterrenza. Da quando l’Auotorità Palestinese è stata fondata, e soprattutto in seguito alle sue divisioni interne, il PCHR ha monitorato la costante assenza di processi equi e di corrette procedure legali. Una delle carenze più gravi, secondo PCHR, è l’uso di tribunali militari per processare civili, tribunali militari che nella Striscia di Gaza prendono il nome di “Field Court”, ed emettono sentenze che vengono eseguite immediatamente, senza possibilità di appello, e senza la ratifica, che sarebbe prevista dalla legge, da parte del presidente dell’ANP. PCHR ha anche riscontrato l’uso sistemico della tortura e l’assenza di garanzia processuali.

Le 173 esecuzioni a Gaza, le 30 in Cisgiordania. Da quando è stata istituita l’ANP nel 1994, sono state emesse 203 condanne a morte, 173 delle quali nella Striscia di Gaza, e 30 nella West Bank (Cisgiordania). Il PCHR ha chiesto al Presidente dell’Autorità Palestinese di sospendere con effetto immediato l’uso della pena di morte in attesa che vengano prese le opportune misure legislative per adeguarsi ai trattati internazionali appena sottoscritti.