Mondo Solidale

Mare Arabico, nelle sue acque una ‘zona morta’ che si espande sempre più

L’allarme degli scienziati: "E' il riscaldamento globale". L’area è grande come la Scozia. Compromessa la vita dei pesci e l'economia di sussistenza di milioni di persone

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ABU DHABI (AsiaNews/Agenzie) - Nelle acque del mar Arabico - si apprende da AsiaNews - c'è una “zona morta” che ha raggiunto le dimensioni della Scozia e sembra destinata a crescere. A lanciare l’allarme è un gruppo di scienziati, che punta il dito contro i cambiamenti climatici responsabili del progressivo inaridimento del mare che, ancora oggi, rappresenta la strada privilegiata tra il Medio Oriente, l’Africa Orientale, l’India e l’Estremo Oriente, animato da complessi confronti a sfondo geopolitico. Copre una superficie di circa 3 milioni e 600 mila chilometri quadrati, nella parte nord-occidentale dell'Oceano Indiano, e bagna le coste della Somalia, di Gibuti, dello Yemen, dell'Oman, dell'Iran, del Pakistan e tutta la parte occidentale dell'India, Maldive comprese.

Compromessa la pesca delle popolazioni più povere. Le zone costiere e le popolazioni che le abitano, da Mumbai in India a Muscat nell’Oman, saranno interessate da una ulteriore espansione della zona morta. E i pesci, una fonte di sostentamento essenziale per la regione, potrebbero trovare un habitat sempre più ostile ed essere esposti al rischio di sovra-sfruttamento ed estrema competizione per la sopravvivenza. “Quando la concentrazione di ossigeno diminuisce - dice Zouhair Lachkar del laboratorio scientifico di Abu Dhabi - i pesci non possono sopravvivere e si va incontro a morti massicce”. Infine, il fenomeno dell’inaridimento dei mari coinvolgerebbe anche, per estensione, il turismo e le barriere coralline.

Gli esempi delle baraccopoli indiane e pakistane. Al di là dell'emergenza ambientale, lanciata dal gruppo di scienziati, l'agonia del Mar Arabico compromette pesantemente le fragilissime economie di milioni di persone povere che sopravvivono con la pesca. Si possono portare ad esempio alcuni degli agglomerati metropolitani più densamente popolati che si trovano in India e in Pakistan: come lo slum di Dharavi, una città nella città di Mumbai, con oltre 1 milione di abitanti. E' la baraccopoli alle porte della megalopoli indiana (che ospita oltre 18 milioni di abitanti, non tutti censibili) dove una parte della popolazione è ancora dedita alla pesca, sebbene oggi il governo di New Delhi ha intenzione di fare di questo luogo una città satellite moderna fornendola di tutti i servizi, con un investimento annunciato di 2 miliardi di dollari. L'altro esempio è fornito da Orangi Town, in Pakistan, con 1,8 milioni di persone, uno slum a Nord-Ovest di Karachi, dove più dell'80% delle persone non lavora.

Un crocevia del petrolio, con tutto quello che ciò significa. Ma l'intera area geografica bagnata dal Mar Arabico è soprattutto un nevralgico crocicchio del traffico di petrolio. Lo Stretto di Hormuz (Iran) è riconosciuto come il più importante punto passaggio petrolifero al mondo, con circa il 35% del petrolio che viaggia via mare e quasi il 20% di quello scambiato in tutto il mondo.Il problema è che tutti i Paesi che si affacciano su questo mare, non solo hanno storie e culture diverse, ma anche prospettive di sviluppo differenti: elemento questo che produce punti di vista politici assai contrastanti e potenzialmente generatori di crisi, che inevitabilmente finiscono per danneggiare soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, come sottolineano diversi report delle Nazioni Unite. Tutto ciò produce instabilità, che si traduce in rischi più o meno nascosti su Paesi già di loro debilitati, come lo Yemen e la Somalia, ad esempio. Una battaglia per l'influenza regionale che non ha mancato (e non mancherà) di provocare interventi di Paesi stranieri, fuori da quest'area, pronti a salvaguardare i loro interessi strategici.

La colonna d'acqua completamente priva d'ossigeno. Dal suo laboratorio ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti (Eau), Zouhair Lachkar è al lavoro su un modello a colori computerizzato del Golfo dell’Oman; esso mostra il cambiamento delle temperature, del livello dei mari e della concentrazione di ossigeno. I risultati dei modelli e delle ricerche diffusi di recente mostrano una tendenza “preoccupante”. Le zone morte sono aree del mare in cui la mancanza di ossigeno rende difficile la sopravvivenza dei pesci. Quella nel mar Arabico, la sezione nord-occidentale dell’oceano Indiano, “è la più intensa al mondo” afferma Lachkar, uno dei più autorevoli scienziati alla New York University nella capitale degli Emirati.  “Inizia a circa 100 metri di profondità e si spinge fino a 1500 metri - aggiunge l’esperto - di modo che l’intera colonna d’acqua risulta completamente priva di ossigeno”. Le zone morte sono fenomeni naturali in tutti i mari del mondo, ma questa è apparsa e ha iniziato a diffondersi negli anni ’90. Secondo Lachkar e altri scienziati la causa del progressivo aumento è il riscaldamento globale, unito ai danni provocati dalle industrie del turismo e della pesca.