Mondo Solidale

Forum delle Disugualianze, vincenti e perdenti della globalizzazione

L'allarme di realtà associative come Asvis, Caritas, Legambiente, Oxfam e il Forum diseguaglianze e diversità, per ragionare e cercare soluzioni comuni per sconfiggere le disparità

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ROMA – Siamo tutti uguali. Certo, se uno si ferma alla Costituzione o ai diritti dell’uomo dettati dall’Onu, sembrerebbe di sì. Ma un conto è ciò che è scritto sulla carta, altro è quanto accade. E’ sempre stato così, solo che oggi le differenze saltano agli occhi. E non è solo la velocità della Rete a mettere a fuoco la realtà. Ce lo dicono da tempo economisti, studiosi e le Ong. E anche l’Istat ci racconta che i poveri sono cresciuti: erano il 3,9 % nel 2008. Oggi sono l’8,3% della popolazione italiana, 5 milioni di persone. Troppi. Un allarme che ha unito varie realtà associative, l’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, la Caritas, Legambiente, Oxfam e il Forum diseguaglianze e diversità, per ragionare e cercare soluzioni comuni, tali da sconfiggere o almeno mitigare le diseguaglianze. Disegnare dunque un terreno comune, condividere alcuni punti fermi e lavorare insieme. L’incontro s’è svolto a Roma e ad aprire i lavori hanno chiamato Branko Milanovic, l’economista famoso per il suo “grafico dell’elefante”, che aiuta a capire chi sono i vincenti e i perdenti della globalizzazione. Perché molte diseguaglianze partono da lì.

Il nodo della ricchezza privata. La prima diseguaglianza, quella più eclatante “è quella sulla ricchezza privata, che influenza e riproduce tutte le altre”. Quelle di reddito, di condizioni di lavoro, di accesso a servizi di qualità e al patrimonio comune, ambientale e urbano, come il riconoscimento dei propri valori e aspirazioni. Due sono i punti da cui partire: contrastare le disuguaglianze di opportunità e ridurre quelle di risultato perché sono percepite come, ingiustificate, come violazioni della giustizia sociale. E’ ciò che sta accadendo ai giovani che non possono disegnare un progetto di vita, né esprimere il proprio merito. Ma giustizia sociale significa anche partire dal principio che non esistono e non devono esistere “scarti umani”, gli esclusi dalla società.

Le diverse anime a confronto. Anime diverse quelle delle associazioni che si sono date appuntamento a Roma. Chi più attenta all’ambiente, chi agli ultimi della società. Lo sforzo è stato trovare una sintesi partendo da un realtà storica: l’avanzata della globalizzazione e delle tecnologie. Una globalizzazione che non è stata governata. Un principio che vale per il mondo occidentale, come per quei Paesi che sono cresciuti tantissimo. “Perché sono le politiche – è scritto nella relazione - ad avere affrontato in modo assolutamente inadeguato le tendenze tecnologiche o globali”. Dunque è necessario correggerle. Come dire, va bene la globalizzazione, ma regolata. Il mercato da solo, questa la sintesi, non raggiunge l’obiettivo dell’eguaglianza, tantomeno quella di ricchezza e reddito. E’ lo Stato dunque che deve redistribuire di più e meglio, valutando e accrescendo l’efficacia dell’azione pubblica. Sperare che lo facciano i grandi proprietari di ricchezze è un alibi non più sostenibile. Le soluzioni ci sono. Ecco quelle che tutte le associazioni hanno indicato.

La tecnologia. Bene innovazione e automazione. Ma senza una politica industriale, da tempo assente in Italia, inseguirle è difficile. Bene anche la concorrenza, che impedisca però la monopolizzazione della conoscenza. La via da seguire, secondo il Forum è una regolazione, sia attraverso un rinnovato ruolo delle imprese pubbliche e della loro governance, sia con nuove opportunità per filiere di piccole e medie imprese. Il luogo dove agire in molti casi è l’Europa. “Ma l’Italia, per via delle sue specificità produttive e sociali deve puntare sulle applicazioni delle nuove tecnologie tutelando ambiente e salute. Un’azione difficile- è scritto - se i governi non imparano a scovare la ricchezza che oggi si nasconde. E una volta scovata è anche attraverso le imposte che si può contribuire allo sviluppo giusto e sostenibile”.

Lavoro. “Vanno sviluppate soluzioni che diano al lavoro un maggior peso nel governo delle imprese”. Come accade in Germania, dove siedono nei Consigli di amministrazione. E poi una sforbiciata agli attuali meccanismi di remunerazione dei manager. Come? “Introducendo indicatori di responsabilità sociale e ambientale”. Un po’ sul modello di chi inquina paga. Nel caso dei manager chi inquina non guadagna.

Salute e istruzione. E’ anche da qui che partono le diseguaglianze. L’idea è offrire i servizi adattandoli ai bisogni dei territori sulla base di forme operative di partecipazione dei cittadini. Si è iniziato a farlo nelle aree interne con una strategia nazionale. Bisogna continuare anche nelle città.

Un reddito dignitoso. Il Rei istituito dallo scorso governo è stato un primo passo per difendere i poveri. Certo è insufficiente e come già denunciato dall’Alleanza per lo sviluppo sostenibile. Ma è appena partito, vediamo come va. Un pacato messaggio ai 5S: va bene muoversi verso il “reddito di cittadinanza” (esteso all’intero universo dei poveri e anche a coloro che non hanno lavoro), ma considerando il Rei come il primo passo verso ogni altro obiettivo. Come dire inutile cancellare una buona riforma ancor prima di averla sperimentata.