Cannes 2018

IN CONCORSO

Spike Lee contro il razzismo: "Dobbiamo ribellarci alle balle che i leader raccontano"

Il regista presenta in concorso 'BlacKkKlansman', poliziesco in stile blaxploitation sulla vera storia del detective afroamericano si infiltrò nel Ku Klux Klan. Il film finisce con le immagini delle violenze di Charlottesville e con un atto d'accusa al presidente Trump

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Spike Lee arriva a Cannes con un messaggio che più chiaro non si può, dietro una parlata calma e apparentemente distaccata anche se intervallata da "fuck", c'è la rabbia di un regista che prima di tutto è stato, e continua a essere, un attivista per i diritti degli afroamericani: "Non è vero che gli Stati Uniti sono un paese fondato sulla democrazia, sono un paese fondato sulla schiavitù e sul genocidio. Ma vi chiedo un favore: non guardate a questo film come una storia che riguarda solo l'America, è un problema globale che coinvolge tutti i paesi. Pensate a come vengono trattati i musulmani, i migranti".

'BlacKkKlansman', un infiltrato nel Ku Klux Klan - trailer


Ventinove anni dopo Fà la cosa giusta, Spike Lee ha ricevuto una standing ovation alla proiezione ufficiale al Grand Théatre Lumière di BlacKkKlansman ed è stato accolto con calore alla conferenza stampa. Le prime parole sono state per il finale del film, che mostra le immagini di Charlottesville dell'estate scorsa, quando una giovane donna venne travolta e uccisa dall'auto di un suprematista bianco che aveva travolto la manifestazione antirazzista.

Spike Lee: "Il razzismo riguarda tutti, con questo film siamo dalla parte giusta della Storia"

"Quella tragedia è avvenuta dopo che noi avevamo finito le riprese e appena ho visto cosa era successo ho capito che doveva essere il finale del nostro film - ha detto Lee - solo dopo aver avuto l'autorizzazione della madre di Heather Heyer (la ragazza uccisa, ndr) mi sono detto affanculo a tutto, mostrerò sul grande schermo quello che è stato: un assassinio, una vergogna per l'America intera".

Spike Lee insieme ai suoi attori sul tappeto rosso. Adam Driver, Laura Harrier e John David Washington (reuters)

Il regista nel film mostra anche Donald Trump intervenire senza condannare le azioni dei militanti neonazisti e l'inquietante discorso dell'ex Mago Imperiale (come viene chiamato il leader dell'organizzazione) David Duke. In conferenza ne parla senza nominarlo: "C'è un tipo alla Casa Bianca, non dirò il suo nome, che nel momento della tragedia non ha saputo dire una parola nella giusta direzione, non ha ricordato che l'amore può battere l'odio. Guardiamo ai nostri leader per avere una guida, per prendere decisioni morali e invece ecco cosa accade, ma non soltanto negli Usa. Siamo circondati da raccontaballe e dobbiamo svegliarci. Non possiamo più stare zitti, non è una questione di bianchi e di neri, è questione di dire Time's Up (il tempo è finito) per l'odio".


Il film, che sarà nelle sale italiane a ottobre e in quelle americane il 10 agosto, per l'anniversario della tragedia di Charlottesville, racconta la storia vera del detective afroamericano sottocopertura Ron Stallworth (John David Washington, figlio di Denzel) che nel 1979 riuscì, con l'aiuto del suo partner ebreo come controfigura Flip Zimmerman (Adam Driver),  a infiltrarsi in una cellula del Ku Klux Klan e dall'interno sventarne i propositi violenti.


È un film in costume, girato in stile blaxploitation con una colonna sonora che arriva direttamente da un jukebox visivo con tanto di copertine dei dischi (come già sperimentato nella serie Netflix Lola Darling, versione contemporanea del film culto del regista del 1986), split screen, umorismo tipico di quel genere e personaggi stereotipati. Ma l'effetto vintage non blocca questa storia nel passato, i razzisti parlano con gli slogan di Donal Trump da "make the America great again" a "americans first" e ci ricordano che "quello che succede ora ha radici in quell'epoca, quando il Ku Klux Klan trovò nuova forza per contrastare i movimenti dei diritti civili". "Sono stato contento di tornare a girare in pellicola - ha detto il regista - abbiamo attinto allo stile dei film degli anni Settanta e con un lavoro sulle immagini che ho condiviso con il mio direttore della fotografia, Chayse Irvin, che è quello che ha fatto la fotografia del video di Beyoncé, Lemonade".


E se di Kanye West il regista non vuole parlare ("basta che andate sul mio Instagram e scoprirete cosa penso di mr. West"), Spike Lee ci tiene invece a raccontare il grande spirito di collaborazione che si è creato sul set. "Io ho 61 anni, faccio questo lavoro da trent'anni. Era tempo che una linfa nuova venisse e sul set si è creata una bella fusione. Fare un buon film è un miracolo, fare cinema è un lavoro molto duro, io non mi sto lamentando ma posso dire di essere stato benedetto da grandi talenti".