Elezioni Politiche 2018

Pd, Orfini: "Alleanza con M5s sarebbe la nostra fine. Giusto che 5Stelle e Lega si spartiscano le presidenze"

Matteo Orfini (ansa)
Il presidente dem alla vigilia della direzione. "L'assemblea elegga il nuovo segretario. Primarie tra tre mesi non sarebbe soluzione migliore". "Renzi si è dimesso, ma non può essere un capro espiatorio. E il Pd non può ricostruirsi prescindendo da lui". Emiliano spinge per l'appoggio esterno ai 5Stelle. Sulla segreteria: "Delrio, credo sia ancora renziano. Calenda? Non lo voglio vicino"
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ROMA - Domani è il giorno della direzione Pd, che arriva a porre un argine al dibattito, spesso caotico, sul futuro del partito dopo la sberla delle elezioni politiche, con i dem sotto il 20%, il M5s nettamente primo partito del Paese e il centrodestra prima coalizione con Salvini sul ponte di comando. Renzi si è dimesso ma dettando, anche nel momento del passo indietro, una linea da tenere alle consultazioni ("no a qualsiasi intesa di governo con estremisti e populisti") e fissando paletti anche sulla scelta del suo successore su cui si è discusso e si continua a discutere dal Pd ai giornali fino ai social network. Con Orlando ad accusare i renziani di aver volutamente gettato sul tavolo il tema delle alleanze impossibili per non dover affrontare il fallimento elettorale. E l'altra anima della minoranza dem, Michele Emiliano, a spingere invece per un avvicinamento ai pentastellati. E c'è chi, come Sergio Chiamparino, chiede che a guidare questo delicato passaggio sia un organismo collegiale e che sulle alleanze si esprima la base. La direzione si presenta, dunque, come il primo autentico e concreto passaggio per lo scioglimento di tanti nodi politici.

Alla vigilia dell'appuntamento, fissato per lunedì alle ore 15, il presidente del Pd, Matteo Orfini, interviene a In mezz'ora in più, su Raitre. Ed entra subito nel tema delle alleanze e della responsabilità che molti attribuiscono al suo partito per la formazione di un nuovo governo. "Qualora sostenessimo un governo del M5S, in varie forme, sarebbe la fine del Pd - mette in chiaro Orfini -. Considero il tentativo di obbligare il Pd a fare la scelta contronatura, una sorta di stalking".

Come aveva detto Renzi, anche per Orfini il Pd deve stare all'opposizione: "Il voto parla chiaro. Noi abbiamo perso, non si aiuta la nascita di un governo in questi casi. Non esiste in natura un accordo tra Pd e M5s. La questione sarà oggetto principale della direzione di domani".

La responsabiltà di fare un governo oggi ricade sulle spalle di chi le elezioni le ha vinte. In fondo, rileva Orfini, "il governo c'è già: M5s e Lega hanno votato quasi sempre insieme nella scorsa legislatura. Unioni civili, ius soli, dimissioni in bianco e reddito di inclusione non l'hanno votato né Lega né M5s: ci sono cinque anni, ahimé di storia sovrapponibile. E Lega e M5S sono sovrapponibili più di qualunque altra forza che sia stata in Parlamento e che si sia candidata alle elezioni".

E sull'ipotesi che la saldatura M5s-Lega non si compia, lasciando il campo a un "governo del presidente" con tutti dentro? "Vedremo - dice Orfini -, è uno scenario totalmente diverso. Non mi sembra ci sia la disponibilità delle principali forze. Non dettiamo la linea al presidente della Repubblica, siamo rispettosi del ruolo di tutti, ma abbiamo un mandato dei nostri elettori che avremo il dovere di rispettare".

Probabile, per Orfini, anche una spartizione tra M5s e Lega delle presidenze della Camere, più volte "offerte" ai dem in cambio di un sostegno al governo che verrà. "Leggendo questo scenario (l'alleanza di governo M5s-Lega, ndr) mi pare ragionevole. La discussione sarà tra Lega e M5s e lo ritengo legittimo. Sarà anche la base per loro per costruire un governo insieme. Non mi pare che ci siano le condizioni che una Camera vada al Pd".

"Chi seguirà le consultazioni nel Pd? Credo i due capigruppo, il vicesegretario e il presidente del partito. Evidentemente non Renzi. E domani non credo sarà alla direzione". E con Renzi, il discorso vira sulle dinamiche interne al Pd. "L'assemblea sarà convocata attorno al 5 aprile, compatibilmente con le consultazioni del Quirinale" annuncia Orfini. Che affiderebbe proprio all'assemblea il compito di eleggere il nuovo segretario perché "non penso che convocare le primarie fra tre mesi sia la soluzione migliore".

Orfini ribadisce di avere la lettera con le dimissioni di Matteo Renzi da segretario. "Una lettera semplice in cui si prende atto del risultato elettorale, rassegna le dimissioni e chiede di procedere agli adempimenti statutari. Renzi spiegherà in assemblea le ragioni delle dimissioni". "Le dimissioni - prosegue Orfini - sono una conseguenza inevitabile. Ma la divisione nel Pd tra renzismo e antirenzismo non ha molto senso. Allora Renzi lo scelsero gli iscritti. Oggi non possiamo cavarcela dando tutte le responsabilità a Renzi. Ogni singolo dirigente ha responsabilità. Non cerchiamo un capro espiatorio. Ci consideriamo tutti dimissionari con Renzi".

Ma le dimissioni di Renzi non si possono considerare la sua definitiva uscita di scena. Perché, sottolinea Orfini, "io non penso che il Pd possa ricostruirsi prescindendo da Matteo Renzi. Chi oggi fa abiure e damnatio memoriae lo fa solo per lavarsi delle proprie responsabilità che sono minori di quelle di altri, ma ci sono".

Per Orfini, dopo la sconfitta, questo è il momento di "ascoltare e di riflettere". "Anzitutto ascoltare chi non ci ha votato: non abbiamo risposte da dare, perché evidentemente quelle che abbiamo dato non sono state ritenute sufficienti. Uno dei pilastri del pensiero di sinistra è che il lavoro dà dignità all'uomo. Ecco perché in questi anni abbiamo lavorato per creare lavoro e pensiamo che il lavoro non possa essere sostituito dal reddito di cittadinanza. Certo - rimarca amaro Orfini -, se gli operai non ci ritengono vicini (riferimento al gruppo di lavoratori e sindacalisti della Fiom che a Pomigliano spiegano di aver votato per la prima volta M5s), se c'è questo senso di alterità rispetto al partito di cui sono presidente, evidentemente c'è un problema nostro".

Dalla minoranza dem è il governatore pugliese Michele Emiliano a ripetere le ragioni di un'assunzione di responsabilità da parte del Pd per la formazione di un governo, a sostegno dello sforzo pentastellato per arginare il Centrodestra. "Queste persone hanno preso 11 milioni di voti e hanno il diritto di provare a governare questo Paese - dice durante il faccia a faccia di Giovanni Minoli su La7 -. Se noi non interveniamo, quelli non andranno a casa. E, di questo ho la certezza, faranno un governo Di Maio-Salvini". Emiliano spinge per l'appoggio esterno. "Il governo è del M5s. Gli si daranno i voti per farli governare e si condivideranno, nell'attività parlamentare, i punti che si possono condividere".

In questa chiave, "penso che la Presidenza della Camera per il Pd sarebbe opportuna, può essere rivendicata" osserva ancora Emiliano. Quanto alla futura guida del Pd, l'esponente della minoranza dem non si esprime su Graziano Delrio, uno dei principali candidati.  "Penso che sia ancora renziano. Ho un buon rapporto umano con lui, è stato un ottimo ministro. Ho lavorato benissimo con lui come presidente della Regione".

Fumo negli occhi invece, la scalata di Carlo Calenda: "Viene da Monti, poi ha votato per la lista Bonino poi, improvvisamente, ha deciso di iscriversi al Pd e ha cominciato a dire 'noi'. Tutto questo in una giornata. Uno così non lo voglio vicino". "L'ho misurato sulla vicenda dell'Ilva - conclude il governatore pugliese -. Qualunque ministro dello Sviluppo economico avrebbe voluto discutere con il sindaco e con il presidente della Regione la vicenda della più importante acciaieria italiana. Invece lui ci ha tenuto fuori dal tavolo per non avere contraddizioni".