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"Vietato parlare di Russia sui social": i paralimpici di Mosca nella bufera

La strada verso PyeongChang si sta trasformando in un'angosciante odissea per gli atleti di Mosca. Ai qualificati per la Paralimpiade coreana è vietato pubblicare post e messaggi che ricordino la loro provenienza

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Colpevoli di essere russi. La strada verso PyeongChang si sta trasformando in un'angosciante odissea per gli atleti paralimpici di Mosca. La storia è questa: ai 34 atleti russi qualificati per la Paralimpiade coreana (9-18 marzo) è vietato pubblicare nelle loro pagine sui social network post e messaggi che ricordino la loro provenienza. I 34 dovrebbero prendere il via delle gare sotto bandiera neutrale e con la sigla Oar (Olympic athletes from Russia), esattamente come i loro connazionali olimpici autorizzati dal Cio.

La denuncia di quanto accade arriva dall'allenatrice della squadra per lo sci e il biathlon Irina Gromova: "Il Comitato paralimpico internazionale ci ha vietato di usare i colori nazionali, portare la bandiera, dire che siamo russi, persino sui social network. Possiamo solo scrivere qualcosa, ma allo stesso tempo non possiamo ostentare la bandiera. Inoltre non possiamo criticare e discutere questa decisione".

La situazione degli atleti paralimpici russi è ancora molto fluida e il rischio vero è che nessuno di loro possa prendere parte alle gare coreane. Sulla materia il Comitato paralimpico internazionale (International Paralympic Committee o IPC) deciderà a fine gennaio. Andrew Parsons, il presidente dell'IPC, ha sottolineato "la crescente delusione e frustrazione per la mancanza di progressi" da parte delle autorità russe sulla richiesta della comunità sportiva internazionale "di ammettere o confutare le prove secondo le quali avrebbero gestito un programma di doping".

La Russia è stata già esclusa dalle Paralimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro a causa dei trascorsi doping relativi in particolare ai Giochi di Sochi 2014, quando gli atleti di casa vinsero 30 dei 72 ori e 80 medaglie complessive. Una performance senza precedenti nella storia, truccata però da numerosi casi di compromissione di test antidoping, con risultati insabbiati o modificati dalle autorità sportive moscovite. Il contravveleno a quella colpa è l'oscuramento del tricolore post-comunista.

Inoltre, denuncia Gromova, nei confronti dei russi si sta consumando una sorta di "razzismo" sportivo: "Se prima tutti parlavano normalmente con i nostri ragazzi, ora ci evitano. Per molti dei nostri avversari vincere è la cosa più importante, anche a scapito dell'amicizia, della dignità e dell'onore". Dura, impossibile a questo punto trovare un compromesso, pur di fronte a una responsabilità che risiede lontano dagli atleti, dal loro impegno, dal loro sudore, dai loro diritti individuali.