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Rosamund Pike è la corrispondente di guerra Marie Colvin: "Audace nel raccontare la verità"

Nelle sale italiane il 9 novembre, 'A Private War' racconta gli ultimi dieci anni della vita della giornalista del 'Sunday Times' uccisa a Homs nei luoghi più pericolosi del pianeta: dall'Iraq alla Siria, dall'Afghanistan alla Libia della primavera araba. È il primo film di finzione del documentarista candidato all'Oscar Matthew Heineman
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Con la sua banda nera da pirata, la voce da fumatrice, la tenacia nel voler raccontare una storia, la spregiudicatezza nell'entrare nei luoghi più pericolosi del mondo e la fragilità di una donna che non era capace di vivere una "vita normale", l'attrice inglese Rosamund Pike è diventata Marie Colvin. Dopo aver raccontato la donna bianca che sposò il re africano, Ruth Williams e la madre coraggio del west di Hostiles, Rosalee Quaid, Rosamund Pike è la protagonista di A Private War, che arriva nelle sale italiane il 9 novembre dopo essere stato presentato al festival di Toronto. Il film racconta gli ultimi anni della corrispondente di guerra del Sunday Times, autrice di alcuni importanti reportage dai luoghi più pericolosi del pianeta - dall'Iraq alla Siria, dall'Afghanistan alla Libia della primavera araba - e che, nella città assediata di Homs, in Siria, trova la morte presumibilmente per mano del governo di Bashar al Assad, mentre tentava di raccogliere informazioni sulla guerra civile in corso.

'A Private War', Rosamund Pike è la giornalista Marie Colvin


Pike e quelle donne coraggiose. "In questo momento cerco dei ruoli in film che affrontano temi più grandi come la razza, la guerra - aveva detto Pike prima di iniziare la lavorazione di questo film - Marie Colvin è una corrispondente di guerra, audace nel suo desiderio di raccontare la verità dal punto di vista delle persone e non dei governi. C’è qualcosa che mi porta verso questo tipo di storie che possono farci cambiare la visione sulle cose". E Marie Colvin lo ha fatto lungo tutta la sua, troppo breve, vita: è stata la prima giornalista straniera a entrare nello Sri Lanka occupato dalle tigri Tamil, ha scoperto le fosse comuni irachene, dove centinaia di kuwaitiani erano stati uccisi dal regime di Saddam, ha partecipato alla primavera araba assistendo alla fine del regime di Gheddafi per poi concludere la sua vita nella città assediata di Homs, in Siria. "Il cinema deve far ridere, intrattenere ma i film possono essere anche luoghi di grandi storie - dice Rosamund Pike - Quello che mi è piaciuto di più di Ruth Williams è il coraggio di scegliere un matrimonio interraziale, un gesto audace per gli anni Quaranta. Rosalee Quaid è una donna davvero coraggiosa come lo è stata Marie Colvin. Forse vado verso quei personaggi che hanno delle qualità che a me mancano, magari è questa la verità".


La verità e lo stress post traumatico. Il ritratto cinematografico di Marie Colvin non è un'agiografia, la giornalista americana è raccontata anche nella sua incapacità di relazionarsi nella vita civile. Al collega Paul Conroy (nel film interpretato da Jamie Dornan) dice: "Odio trovarmi nelle zone di guerra ma mi sento costretta a vederla con i miei occhi" e lui le risponde "Perché ne sei dipendente". Il film infatti affronta anche il tema della sindrome da stress post traumatico e quella sorta di dipendenza dalla guerra di cui soffrono i reporter, mentre intorno a lei esplodono bombe e i soldati sparano sui giornalisti lei rifiuta il giubbotto antiproiettile e si procura una ferita all'occhio che sceglierà di corprire con una benda nera, ma quando torna nella sua Londra finisce per soffrire di attacchi di panico. "Colvin era uno spirito ribelle e totalmente senza paura, pronta a prendersi qualunque rischio pur di raccontare una storia. Il suo desiderio di voler testimoniare le sofferenze dell'essere umano nelle guerre era la sua missione, come lei stessa diceva, doveva "dire la verità ai potenti" - dice il regista Matthew Heineman nelle sue note di regia - Viviamo nell'era della post verità, dove i fatti vengono spesso confusi con le falsità più sfacciate con dittatori, terroristi e politici che indifferentemente utilizzando la propaganda per i loro personali interessi, con il terribile risultato che le persone non sanno cosa credere. Il giornalismo è sotto attacco ed è continuamente polarizzato con notizie fabbricate e mascherate per vero giornalismo".


Un biopic come un documentario e i rifugiati come comparse. Dopo una serie di documentari dai temi piuttosto impegnativi come City of Ghosts sull'Isis, Escape Fire sul sistema sanitario Usa, Cartel Land sui cartelli di droga messicani (candidato all'Oscar), il regista Heineman si è imbattuto nell'articolo di Marie Brenner, Marie Colvin's Private War, pubblicato sull'edizione statunitense di Vanity Fair. Ha cominciato a lavorare come avrebbe fatto per un documentario, è andato a Londra dove Colvin viveva tra un reportage e l'altro, ha incontrato gli amici e i colleghi della reporter. Quando Rosamund Pike ha saputo tramite la regista Amma Asante (che l'aveva diretta in A United Kingdom) di questo copione, ha lottato strenuamente perché il ruolo di Colvin fosse suo. "Non le somiglio, sono più giovane, non sono americana, ma volevo essere lei profondamente. È entrata nel mio animo dalla prima volta che ho letto quell'articolo". Chi è stato centrale per assicurarsi che il ritratto che Pike e Heineman stavano facendo della giornalista fosse accurato, è stato Paul Conroy, il soldato inglese diventato fotoreporter che ha accompagnato Marie in tante delle sue avventure. Lui ha regalato a Jamie Dornan alcune delle macchine che ha utilizzato in Libia e a Rosamund Pike l'accendino di Marie, "vedere ricreare alcune delle conversazioni che veramente abbiamo avuto mi ha commosso profondamente - ha raccontato Conroy - Mi sono reso conto di quanto mi mancasse Marie". Il film è stato girato a Londra mentre tutti i luoghi di guerra - Sri Lanka, Iraq, Libia, Afghanistan, Siria - sono stati ricostruiti in Giordania. Il regista voleva ritrarre la guerra "nel modo più onesto che si può fare in un film narrativo", per questo ha scelto di utilizzare veri rifugiati siriani come comparse, per esempio le vedove dei cosiddetti scantinati di Homs erano rifugiate siriane. "L'autenticità è stata la mia stella polare - ha detto il regista - Volevo circondare Rosamund e Jamie e gli altri attori di persone di quelle regioni le cui storie avrebbero fatto versare vere lacrime per vere atrocità. All'inizio è stata dura per loro ma alla fine credo questa scelta abbia creato un ambiente emotivo che ha permesso alla storia di svilupparsi".