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Travolto e ucciso da un'auto pirata nel Piacentino. La vittima aveva 57 anni

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'Catturate Riina!', per la prima volta in tv il racconto degli uomini che lo arrestarono

Sabato 26 maggio, su Rai2, il docufilm di Corrias e Pezzini, attraverso la testimonianza di Ultimo e dei carabinieri in servizio quel 15 gennaio 1993, ripercorre la cattura del capo di Cosa Nostra. Il carabiniere Arciere svela: "Il procuratore Caselli aveva condiviso la nostra proposta di non perquisire il covo di Riina"

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Del gruppo solo Omar appare a viso scoperto. Gli altri uomini di Ultimo (cappuccio e sciarpa che lo copre, si intravede solo un occhio), i carabinieri che misero faccia a terra Totò Riina, parlano in penombra. Sono passati 25 anni dall’arresto del boss: era il 15 gennaio 1993, un minuto dopo le 9 di mattina. Per la prima volta in tv, sabato 26 maggio, nell’inchiesta-documento Catturate Riina! del giornalista Pino Corrias e dell'autore Renato Pezzini (su Rai2 a mezzanotte e venti), raccontano il loro metodo d’indagine, come arrivarono alla cattura del capo dei capi dopo una latitanza durata 23 anni, 6 mesi e 8 giorni. Il colonnello Sergio De Caprio, nome di battaglia Ultimo, parla in tv anche dell’inchiesta che l’ha coinvolto per non aver perquisito il covo del boss.


"Mi chiamo Ultimo", racconta De Caprio, "perché sono cresciuto in un mondo dove tutti cercavano di essere primi». Toscano, figlio di carabiniere, dalla Nunziatella a Corleone, poi a Milano nella sezione Catturandi impara il metodo d’indagine. La sua squadra, Crimor, (che fu smantellata), è formata da giovani carabinieri per lo più ventenni, tutti con un nome di battaglia: Omar ("dal nome di un ragazzo tunisino"), Aspide ("il figlio più brutto della vipera"), Arciere ("Me lo ha dato Ultimo il nome", racconta il carabiniere, "perché diceva che tiravo frecciate") e Vichingo ("ero biondo e atletico"). La loro azione più nota è la Duomo Connection, coordinata a Milano dal procuratore Ilda Boccassini e a Palermo da Giovanni Falcone.

(fotogramma)

Il 23 maggio quando Falcone viene ucciso nella strage di Capaci si precipitano a Palermo. "Siamo arrivati all’obitorio e abbiamo visto il giudice, le scarpe dei poliziotti: le vittime della battaglia", dice Ultimo, "i valorosi caduti. Abbiamo visto quello che era rimasto di loro". Dopo la strage di Via D’Amelio in cui viene ucciso il giudice Paolo Borsellino, la squadra è in Sicilia: l’obiettivo è catturare Totò Riina, un fantasma. "Noi di Riina sapevamo poco sapevamo che era una persona spietata, fu fatta una ricostruzione fotografica dall’Fbi ma era un po’ poco", racconta Aspide, "sapevamo che era a Palermo perché la forza di queste persone è stare a casa loro".


Sono quattordici uomini più Ultimo, il gruppo s’imbarca a Genova, a settembre a Palermo è appena scattata l’operazione Vespri siciliani ci sono ottomila militari spediti da Roma a presidiare le strade dopo gli attentati di Capaci e Via D’Amelio. "Per avere la superiorità formativa di un obiettivo ci vuole pazienza e metodo. Il nostro non può essere considerato un lavoro, è una lotta", chiarisce Ultimo "il metodo è OCP: osservazione, controllo pedinamento. Il tempo non lo decidiamo noi, lo decide l’avversario. Lo spazio e i luoghi li decidiamo noi".

L’8 gennaio 1993 viene arrestato a Borgomanero, in provincia di Novara, Balduccio Di Maggio, fuggito in Piemonte per scampare ai sicari di Riina. È la svolta: dicevano che il boss di Corleone lo tenevano i Ganci o i fratelli Sansone, costruttori edili di Palermo: è questa la strada da seguire. Duecento giorni di indagini, i carabinieri di Ultimo si mimetizzano, dormono in convento o in macchina, diventano invisibili. Si appostano lungo le vie di accesso al comprensorio di ville di via Bernini 54. "Usavamo 'la balena'", ricorda Arciere, "un furgone con un nostro operatore che si occupava di fare riprese, tipo ufficio mobile, fu inventato dal grande generale Dalla Chiesa ai tempi del terrorismo". Fotografano la Citroen guidata da Salvatore Biondino, Di Maggio riconosce in una registrazione filmata Ninetta Bagarella, la moglie di Riina. La mattina del 15 gennaio accanto al capomandamento, c’è Riina nell’auto. "Ho avvisato il colonnello Mori", racconta Ultimo. Con i suoi uomini il messaggio è in codice: "Attenzione esce il nostro amico Sbirulino, il nome che davamo a Riina. Adrenalina a mille".

Le auto si mettono in scia. Un chilometro di traffico, fino allo slargo del Motel Agip sulla circonvallazione, quando le auto inchiodano la Citroen. Al semaforo Ultimo trascina Riina sull’asfalto, Arciere fa lo stesso con Biondino alla guida. "Chi siete? Chi siete? Sto male, sto male". Così Ultimo ricorda Riina in auto. "Anche noi stavamo male. Abbiamo visto una persona un po’ vile, prigioniero come tanti altri: ha le garanzie che la Costituzione gli dà, trattato col rispetto con cui vanno trattati tutti i prigionieri". Poi l’arrivo nella caserma dei carabinieri. "De Caprio l’ha fatto sedere sotto la foto di Dalla Chiesa, il nostro mito", racconta Omar, "aveva pizzini in mano, occhi intelligentissimi. Biondino si è messo a fare lo spiritoso, Riina alza la testa e lo guarda. Biondino abbassa la testa: non ha più detto una parola".

È il 15 gennaio 1993, data storica. Edizioni straordinarie dei tg, conferenze stampa: "Tutta gente felice", dice Arciere; "Il comando generale in diretta collegò le autoradio di tutta Italia", aggiunge Aspide. "Volevano che Ultimo brindasse al circolo ufficiali, ma lui nella sua coerenza non lasciò gli uomini nel garage dove erano stati per sei mesi. Non ci ha mollati, nel giorno della gloria è rimasto con noi. È un ufficiale che si mette in campo e lavora con te". "Non fare la perquisizione nel covo ma seguire i fratelli Sansone ci avrebbe consentito di definire gli esatti contorni degli assetti imprenditoriali e politico amministrativi che da sempre hanno costituito il loro business", spiega Ultimo. Da lì cominciano i guai. Ultimo è contrario alla perquisizione, il procuratore Giancarlo Caselli si schiera con lui: "Caselli in quel momento aveva condiviso la nostra proposta di non perquisire", spiega Arciere, "era lui il capo supremo dell'indagine. Se ce l'avesse chiesto, l'avremmo fatto".

"Un capomafia si porterebbe documenti compromettenti dove sta con moglie e figli?", si chiede Aspide. Ultimo finisce sotto inchiesta, dopo 18 anni di processi, è assolto. Ma a quella mancata perquisizione è anche legato il processo sulla trattativa Stato-Mafia. "Noi dobbiamo stare vicini alle procure ai carabinieri", dice Ultimo, "non mi aspettavo niente e non mi aspetto niente. Ho combattuto con semplicità, con la rabbia e con pochi combattenti che sono stati sulla strada senza scappare e senza volere nulla per sé. Rifarei tutto. Il cappuccio e la sciarpa vengono visti come una cosa figa da ostentare. No, sono la consapevolezza di essere ombre e non essere nessuno".