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Spotify dichiara guerra alle app craccate e gli scrocconi si vendicano

Spotify dichiara guerra alle app craccate e gli scrocconi si vendicano
(ansa)
La celebre piattaforma di musica in streaming, alla vigilia del suo debutto a Wall Street, ha dato l'altolà a quanti utilizzano illegalmente la versione Premium a pagamento. E gli store digitali di Apple e Android si riempiono di recensioni con una stellina e pesanti critiche: "E' una truffa fate pena"
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SPOTIFY dichiara guerra agli scrocconi. E gli scrocconi si vendicano dichiarando guerra a Spotify. Tutto nasce da una mail che la celebre piattaforma di musica in streaming di Stoccolma ha inviato a molte persone e che, più o meno, recita: "Caro utente, abbiamo rilevato un'attività anormale sull'app che stai usando quindi l'abbiamo disabilitata. Non ti preoccupare, il tuo account Spotify è al sicuro”. Che, tradotto, vorrebbe dire: stai usando la versione Premium, ovvero a pagamento, “a gratis”. E aggiunge: "Se dovessimo rilevare il ripetuto uso di app non autorizzate che violano i nostri termini di servizio, ci arroghiamo ogni diritto, compreso quello di sospendere o cancellare il tuo account".
 
Quella che l’azienda definisce “attività anormale” è da attribuire all’uso di app che consentono di modificare l'accesso su Spotify riuscendo a fruire dei contenuti premium illegalmente, senza pagare l'abbonamento mensile e quindi evitando di sorbirsi le pubblicità e le grosse limitazioni nell'ascolto della musica (tipo una qualità di ascolto più bassa, non poter saltare canzoni, non poter scegliere un brano specifico o non mettere il dispositivo in uso in collegamenti wireless con alcuni altoparlanti ecc.).
 
Molte persone si stanno disperando in queste ore sulle radio musicali e sui social, con l'hashtag #Spotify balzato in cima ai trending topic di Twitter. Ma il malcontento non si ferma qui. Negli ultimi giorni gli store digitali di Apple e Android sono pieni di recensioni con una stellina e pesanti critiche: “Io ero uno di quei ‘furbetti’ come dite voi che usava Spotify craccato. Non è possibile fare pagare così tanto un applicazione di musica, fate solo ridere”, scrive Mattia Boselli su Google play.
 
E ancora: “Non è possibile pagare seriamente 10 euro al mese per della musica, che poi, parliamoci da amici, nessuno acquista la musica, figuriamoci comprare un account premium”, scrive Walter Santella, indicando un improbabile uso alternativo dei 10 euro: “Ci vado a p*****e”. Ed Edoardo Picazio aggiunge: “Pagare a quel prezzo il Premium per scegliere la musica è una truffa e mo’ avete pure tolto le versioni craccate fate pena”
 
Ma non c'è niente da fare. I furbetti, se vorranno continuare a usufruire del servizio, dovranno disinstallare la versione pirata e scaricare l'app ufficiale di Spotify. E rassegnarsi alla pubblicità o a mettere mano al portafogli e scegliere tra la versione Premium: 9,99 euro al mese, Family: 14,99 euro al mese per sei account o la versione scontata per studenti a 4,99 euro al mese.
 
La sostenibilità del business della piattaforma di musica deriva dal fatto che dei 159 milioni di utenti complessivi, circa 71 milioni sono a pagamento. Se si diffondesse troppo la modalità "scrocco" i conti non tornerebbero più. Per altro da quando Spotify ha avviato le pratiche per andare in Borsa – il debutto è prossimo - analisti e grandi investitori hanno iniziato a spingere per un aumento delle tariffe poiché continua a essere in perdita.
 
Dal 2015 al 2017 c'è stato un vero e proprio boom dell'azienda passata - come si legge nella documentazione presentata alla Sec (l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori) - da 1,9 miliardi di euro di ricavi a 4,09 miliardi di euro, con un tasso annuo di crescita del 45 per cento. Tuttavia nel 2015, nonostante al momento Spotify non abbia rivali in grado di contrastare il suo dominio, le perdite nette erano di 230 milioni e nel 2016 di 1,23 miliardi di euro. Mentre l'anno scorso l'azienda ha chiuso con un rosso di 324 milioni di euro. Cifre importanti che non permettono all’azienda di lasciare spazio a nessuna “attività anormale”.