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YouTube sotto accusa: "Raccoglie i dati dei bambini e li sfrutta per la pubblicità"

YouTube sotto accusa: "Raccoglie i dati dei bambini e li sfrutta per la pubblicità"
Per la piattaforma di Google, coinvolta nei mesi scorsi da scandali sui cartoni taroccati e i video cospirazionisti, si apre un nuovo fronte: quello dei dati personali. Oltre 20 associazioni Usa accusano: "Big G sa che i più piccoli ci passano ore ma non chiede il consenso dei genitori"
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YOUTUBE finisce di nuovo nel mirino per il modo in cui (non) si occupa dei minori. Dopo l’inquietante fronte dei cartoon fake esploso lo scorso autunno e quello dei video cospirazionisti delle settimane passate – in entrambi i casi l’accusa è di non riuscire a tenerli fuori dalla portata dei bambini né sull’app YouTube Kids né su quella standard disponibile ovunque – scoppia una nuova grana. Che stavolta mette sul banco degli imputati la piattaforma di condivisione video non tanto sotto il profilo dei contenuti quanto su quello, caldissimo visto l’affare Cambridge Analytica che ha travolto Facebook, della trasparenza e la riservatezza dei dati personali. In questo caso, appunto, degli under 13.
 
Una coalizione di 23 associazioni per l’infanzia, dei consumatori e di attivisti ha citato YouTube alla Federal Trade Commission americana con una tesi molto chiara e molto grave: Google violerebbe le leggi sulla protezione dei minori raccogliendo informazioni personali dei piccoli e utilizzandole per confezionare e indirizzare loro pubblicità mirate. Dell’agguerrito gruppone fanno parte la ben nota Campaign for a Commercial-Free Childhood, il Center for Digital Democracy e 21 altre organizzazioni. Il punto è molto importante per diverse ragioni. La prima è che queste associazioni accusano Big G di sapere benissimo che YouTube è utilizzata da bambini sotto i 13 anni nonostante le condizioni d’uso sostengano che il servizio non dovrebbe essere dedicato a loro. Ma di non fare nulla per evitarlo e di non risparmiare di dragare anche i loro dati personali.
 
Così, navigando su questa pericolosa ambiguità di fondo – le regole dicono che gli under 13 non potrebbero usare YouTube ma nella realtà ci passano una montagna di tempo, così come accade praticamente su tutti i social network – Google raccoglie informazioni personali come localizzazione, dispositivi utilizzati, numeri di telefono e li usa per tracciare i baby utenti in giro per il web e per altri servizi. Profilandoli come fossero utenti adulti. Senza ottenere in modo preventivo, dicono le associazioni, il consenso richiesto dal Coppa, il Children’s Online Privacy Protection Act approvato nel 1998 dal Congresso americano ed entrato in vigore nel 2000. Ma, come si comprende, è in corso un cortociruito: come potrebbe mai Google chiedere il consenso ai genitori per un servizio che, formalmente, è vietato ai minori di 13 anni?
 
Si riapre insomma l’enorme problema degli utenti sotto quella soglia (arbitraria, non c’è alcuna indagine pedagogica alle spalle ma solo una legge di vent’anni fa) che a breve assumerà una sua concretezza anche nel Vecchio continente con l’entrata in vigore del nuovo regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali. All’articolo 8 prevede appunto la soglia di 16 anni per l’accesso a questo genere di piattaforme: sotto, occorrerà il consenso dei genitori con documenti o altri sistemi di identificazione. Tuttavia l’atteso provvedimento di Bruxelles lascia le porte aperte ai singoli Paesi per abbassare quel limite a 13 anni. Guarda caso armonizzandolo con quello statunitense.  
  Ecco perché, fino all’entrata in vigore del cosiddetto Gdpr (General Data Protection Regulation) europeo ma anche oltre, ciò che succede oltreoceano è fondamentale anche per la sicurezza dei bambini alle prese con queste piattaforme in tutti i mercati in cui sono presenti: la famigerata soglia del 13 anni è infatti frutto del Coppa e, spesso in un Far West privo di regole, i colossi della rete non hanno fatto altro che applicarla anche altrove. In punto di diritto senza alcun tipo di valore.
 
Le organizzazioni per la difesa dell’infanzia chiedono alla Ftc di investigare – proprio ciò che dovrà fare l’Antitrust italiana ma sul caso Facebook – e di sanzionare Google per le violazioni che avrebbe compiuto: "Per anni Google ha abdicato alle sue responsabilità verso i bambini e le famiglie specificando semplicemente che YouTube, un sito pieno di cartoni popolari, ninnenanne e pubblicità di giocattoli, non sia destinato ai minori di 13 anni" ha spiegato Josh Golin, direttore esecutivo del Ccfc. Al contrario, questa la tesi dell’accusa, “Google fa profitti immensi distribuendo pubblicità ai bambini" quando invece dovrebbe rispettare le norme previste dal Coppa. "Adesso è il momento – ha tuonato Golin – che la commissione chieda conto a Google della sua raccolta illegale di dati e delle sue pratiche pubblicitarie".
 
Per i gruppi sul piede di guerra YouTube è la piattaforma più popolare fra i bambini, usata dall’80% di quelli dai 6 ai 12 anni. Come noto, Google ha anche un’app dedicata – YouTube Kids, disponibile anche in Italia ma non in italiano – distribuita dal 2015. Progettata per filtrare i contenuti in modo ibrido (un po’ con algoritmi e un po’ con uno staff in carne e ossa) e selezionare sia i contenuti che le pubblicità destinate ai più piccoli. Negli ultimi tempi YouTube dice di aver arricchito il team di moderatori dedicato al controllo di certi tipi di video, fra cui quelli destinati ai bambini, ma la questione che le associazioni contestano riguarda appunto la contraddizione di base di cui si parlava prima: “Google ha agito in modo ambiguo dichiarando in modo falso che YouTube è solo per gli over 13 mentre raccoglieva i giovanissimi in un parco giochi digitale pieno di pubblicità. Proprio come Facebook, Google ha indirizzato le sue enormi risorse verso i profitti e non sulla protezione della privacy” ha spiegato Jeff Chester del Center for Digital Democracy.
 
In fondo fra i canali più popolari di YouTube ce ne sono alcuni palesemente indirizzati ai bambini con milioni di iscritti come LittleBabyBum che ne vanta 14,6 milioni e 14 miliardi di visualizzazioni. Senza contare che se ne trovano ancora di totalmente inadeguati: canali che ospitano cartoni taroccati e dai contenuti inadatti ai bambini che sfruttano fuori da ogni diritto personaggi celebri (ma sfigurandone le fattezze) al solo fine di raccogliere traffico e visualizzazioni. Non bastasse, secondo l’accusa la piattaforma per la pubblicità includerebbe anche una selezione di canali etichettati come “parenting and family”: per piazzare la pubblicità su quei video gli inserzionisti pagherebbero di più. Segno, ancora una volta, che si sa bene chi circola sulla propria piattaforma – anche perché l’azienda lo ha di fatto ammesso con una serie di mosse – ma troppo poco si fa per “bonificarla” dall’utenza più giovane.
 
Tornando ai contenuti pare infine che YouTube stia pensando di rilasciare una versione della sua applicazione per i più piccoli gestita in modo manuale. Facendo cioè a meno del lavoro di filtro e selezione automatico realizzato tramite algoritmi ad hoc che troppi inghippi ha prodotto fra Peppa Pig assetate di sangue e Minnie in bikini che si contendono Topolini palestrati. Questo per evitare che in quella piattaforma finiscano video inappropriati: ad occuparsene dovrebbe essere un team di curatori reali. Strategia evidentemente impossibile da condurre nella versione standard del sito e dell’app.
 
"Non abbiamo ancora ricevuto la notifica dell’esposto – ha spiegato una portavoce di YouTube – ma proteggere i bambini e le famiglie è sempre stata per noi una priorità assoluta. Leggeremo le accuse in profondità e valuteremo se ci sono cose che possiamo fare per migliorare. Ma YouTube non è per i bambini e abbiamo investito risorse significative per creare l’app YouTube Kids, un’alternativa specificamente pensata per i più piccoli".