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Dall'India all'Italia, la bufala corre via WhatsApp

Dall'India all'Italia, la bufala corre via WhatsApp
All'inizio del mese due uomini uccisi in India, scambiati per rapitori di bambini anche a causa del tam tam sulla chat di Facebook. Ma dalle elezioni alle catene, l'informazione si sposta sempre più dai social alla messaggistica
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CHE LE chat stiano diventando il canale preferenziale di circolazione delle notizie, quasi ai livello di spodestare la condivisione sui social, l’hanno certificato di recente l'università di Oxford insieme al Reuters Insitute in uno studio dedicato al tema. Certo su WhatsApp e compagnia, tuttavia, il rischio bufale non si affievolisce affatto. Tutto il contrario: catene di Sant’Antonio e false notizie rischiano una circolazione ancora meno mediata e istintiva, spesso foriera di conseguenze anche drammatiche.
 
All'inizio del mese, per esempio, due uomini indiani - Abijeet Nath e Nilotpal Das – sono stati aggrediti e uccisi nella provincia di Assam, dove erano in visita turistica, perché delle notizie su di loro e sui loro movimenti nella zona, diffuse tramite WhatsApp ma anche il classico passaparola, avevano convinto parecchi abitanti che si trattasse di ladri di bambini. La versione è stata confermata da un ufficiale della polizia locale. Ma non si tratta dell'unico caso: dozzine di omicidi e agguati sono in qualche modo da collegare alle panzane diffuse in chat.
 
Stesso dramma in Brasile, dove WhatsApp è stato accusato di aver favorito un'epidemia di febbre gialla esplosa all’inizio dell’anno dopo aver fatto circolare video antivaccinisti e note vocali contrarie alle misure precauzionali. In Kenya, riporta il Guardian, le bufale circolate nel corso dell’ultima campagna elettorale sembrano aver influito non poco nell'espressione del voto dei cittadini e in fondo ovunque le chat diventano canali di infezione o di allarme. In Italia basta ricordare il caso romano del 2015, quando una presunta mamma metteva in guardia la figlia da un imminente attacco terroristico nella Capitale. Ne parlò perfino l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, alludendo al “procurato allarme”.
 
"In un certo senso non è diverso dalla conversazione ordinaria ma ciò che lo distingue è la velocitò con cui queste cose possono diffondersi – ha spiegato Nic Newman, coautore del rapporto citato all’inizio – le ragioni per cui le persone si spostano su questi spazi è che c’è maggiore privacy". Anche se stimare il “tasso di disinformazione” che transita da WhatsApp è molto complesso, chiude l’esperto.