In occasione della celebrazioni per il settantesimo anniversario della sua fondazione - in programma oggi, giovedì 22 febbraio, presso la sede di Confindustria di Roma, l'Associazione dei Fonografici Italiani, ente che rappresenta oltre cento società indipendenti attive nel mercato della discografia, per bocca del proprio presidente Franco Bixio ha rivolto un appello al governo che si insedierà dopo le consultazioni politiche del prossimo 4 marzo. "Noi produttori indipendenti associati ad AFI rivolgiamo sin da ora ai responsabili della Cultura, dell’economia e del lavoro del futuro Governo italiano la richiesta di intervenire con il massimo impegno e autorevolezza a livello europeo e nazionale per modificare l’ingiusta sproporzione (value gap) tra gli smisurati guadagni dei colossi della Rete e i diritti che derivano dall’utilizzo massivo di musica realizzata, prodotta e immessa sul mercato da parte delle industrie musicali indipendenti", ha spiegato Bixio: "Diritti che neanche minimamente riescono a far raggiungere il pareggio di una produzione. Si richiede, in particolare, di sostenere politiche che aiutino a rendere più giuste le risibili percentuali che attualmente vengono pagate agli aventi diritto per ogni passaggio di video o di audio". "C’è chi sostiene che lo streaming sia ormai il futuro della musica, chi invece la sua fossa definitiva", ha proseguito il presidente AFI: "Il problema è semplice: è vero che l’offerta legale con lo streaming gratis ha tolto spazio alla pirateria, ma alla fine se nessuno paga, come guadagnano gli artisti, i produttori e i musicisti? Quanti riescono a salire su un palco grazie alla promozione della diffusione, praticamente gratuita, della loro musica in streaming (Spotify)? Nuove generazioni di artisti potrebbero essere a rischio di estinzione. Pochi centesimi ad ascolto (€ 0,001) per l’artista e pochi per il produttore (€ 0,004) riteniamo che moralmente non si possano considerare una giusta remunerazione al proprio lavoro. Un milione di ascolti di un brano rendono mediamente all’artista 1.000 euro e a al produttore circa 4.000 euro". "Nel caso di YouTube le cose peggiorano", ha spiegato Bixio: "Una direttiva europea dell’ormai lontano 2000 ha lasciato crescere, in una sorta di buco normativo, l’offerta di YouTube (ma anche quella di Facebook), piattaforma utilizzata da miliardi di persone soprattutto per ascoltare musica. Tutti gli aventi diritto hanno dovuto accettare le retribuzioni imposte da Google. Possiamo affermare che 1 milione di stream è da considerare un grande successo di pubblico? Ebbene, questo si concretizza in un compenso per l’artista di circa 190 Euro. Ma anche nel caso di piattaforme di streaming audio non possiamo certo sentirci soddisfatti: 230 mila stream su Spotify generano, sempre per l'artista, un compenso di circa 250 Euro. Questo esempio si riferisce a grandi successi. E il resto delle produzioni? Pochi spiccioli. Valori iniqui. Una guerra fra poveri. Impossibile pensare di pareggiare i costi di produzione". "Solo attraverso la concentrazione di cataloghi e della massa critica di produzione si può considerare un successo il mercato digitale, ma i singoli artisti, anche famosi, e i singoli produttori non riescono più a progettare il futuro", ha concluso Bixio: "L’AFI, per le sue aziende e gli artisti prodotti, richiede di inserire nell’agenda del prossimo Governo la revisione della direttiva europea sull’e-commerce. Davide contro Golia, nuovamente in campo per ridare valore morale al nostro lavoro con una giusta remunerazione in funzione di una crescita del settore".